Il potere trasformativo degli Employee Resource Groups (E.R.G.) in azienda

In molte aziende italiane, la parola “inclusione” prende forma in reti interne di persone che organizzano eventi, ascoltano storie e costruiscono alleanze. Queste reti sono gli Employee Resource Groups: comunità nate dal basso che, col tempo, hanno cambiato il modo in cui le aziende guardano a sé stesse.

Oggi rappresentano il punto di incontro tra valori e persone, dove l’identità individuale diventa energia collettiva. Perché è lì, nelle reti costruite dalle persone, che l’inclusione smette di essere solo un obiettivo e diventa una pratica quotidiana: un modo concreto di stare insieme e trasformare le aziende dall’interno.

Cosa sono gli E.R.G.: dalle prime reti spontanee ai pilastri delle strategie di inclusione

Gli Employee Resource Groups (E.R.G.) – in alcuni contesti chiamati anche affinity groups – sono reti di persone che si organizzano all’interno delle aziende per promuovere inclusione, consapevolezza e pari opportunità. Non nascono come iniziative di comunicazione o di responsabilità sociale, ma da un bisogno concreto delle persone dell’organizzazione: quello di trovare spazio, voce e riconoscimento dentro il contesto lavorativo.

Come spiega il professor Lumumba Seegars sulla Harvard Business Review, gli E.R.G. sono organizzati attorno a un’identità sociale – come l’appartenenza razziale o di genere, l’orientamento sessuale o altre esperienze personali – e nascono per rispondere ai bisogni delle persone storicamente marginalizzate nella società.

I primi E.R.G. sono comparsi negli Stati Uniti negli anni Settanta, in risposta alle discriminazioni razziali e di genere. Un esempio storico spesso citato, precursore di quelle reti interne di inclusione che oggi chiamiamo E.R.G., è il National Black Employee Caucus nato negli uffici di Xerox nel 1965; fu istituto per dare voce alle persone dipendenti afrodiscendenti in risposta alle tensioni razziali dell’epoca. Dieci anni più tardi, in Xerox venne fondato anche il Black Women’s Leadership Council, dedicato alla promozione della leadership femminile afroamericana. 

Negli anni successivi il modello si diffuse in altre aziende. Nel 1972, per esempio, i dipendenti della Hewlett-Packard crearono il Gay and Lesbian Employee Network (GLEN), una delle prime reti aziendali LGBTQ+ negli Stati Uniti.

È da queste spinte originarie, inclusive e riparative, che gli E.R.G. hanno sviluppato la loro forza trasformativa. Da allora si sono evoluti fino a diventare canali strutturati di cultura organizzativa: gruppi che affiancano le funzioni HR e le direzioni DEI (Diversity, Equity e Inclusion) nel dare concretezza ai valori aziendali.

In Italia la presenza degli E.R.G. è più recente ma in crescita

Nel panorama italiano, gli Employee Resource Groups si sono diffusi più tardi, ma stanno diventando un elemento riconosciuto delle strategie di inclusione aziendale. La spinta è arrivata soprattutto dalle multinazionali già attive in programmi globali di DEI, che hanno portato nel nostro Paese modelli sperimentati in ambito internazionale.

Oggi le grandi realtà, soprattutto del settore tecnologico, finanziario ed energetico contano reti interne dedicate ai diritti LGBTQIA+, alla multiculturalità, alla disabilità o al gender balance, spesso coordinate da persone volontarie che agiscono in stretto dialogo con le direzioni HR.

Tra gli aspetti più interessanti degli E.R.G. c’è il fatto che, pur essendo nati per rappresentare specifiche comunità, si stanno evolvendo verso reti trasversali e intersezionali, capaci di costruire alleanze tra temi e identità diverse.

Capita, per esempio, che le reti LGBTQIA+ collaborino con quelle dedicate alla genitorialità o alla salute mentale per sviluppare azioni comuni di sensibilizzazione. È un segno di maturità: l’inclusione non più come somma di categorie, ma come rete di connessioni tra esperienze.

Perché gli E.R.G. sono trasformativi: l’impatto su persone e organizzazioni

Il valore degli Employee Resource Groups non si misura solo dal numero di attività che promuovono, ma da ciò che riescono a muovere nelle persone e nella cultura aziendale.
Per chi partecipa, gli E.R.G. rappresentano spesso il primo luogo di sicurezza psicologica dentro l’organizzazione, dove si costruiscono fiducia, alleanze e linguaggi nuovi: si impara a nominare le differenze senza temerle, e a trasformarle in opportunità di crescita reciproca.

Ma l’effetto non si ferma alle persone che fanno parte delle reti. Le idee, le proposte e le pratiche nate dagli E.R.G. si diffondono in tutta l’azienda, influenzando policy, comunicazione interna e processi HR.

Ci sono imprese, per esempio, che hanno introdotto congedi paritari per genitori dello stesso genere, programmi di mentoring intergenerazionale, formazioni e linee guida per una comunicazione inclusiva proprio grazie al contributo delle loro reti interne di E.R.G.. Queste iniziative le hanno trasformate in veri e propri laboratori di innovazione sociale: spazi dove si sperimentano nuove forme di collaborazione, si intercettano bisogni emergenti e si traduce il linguaggio del cambiamento in pratiche concrete.

E così, una rete nata per supportare una comunità specifica finisce per generare beneficio diffuso, migliorando il clima, la comunicazione e la qualità delle relazioni professionali. Un impatto che si misura anche in termini di soddisfazione e senso di appartenenza; secondo l’ultimo report Untapped Energy di Great Place to Work (2025), le persone che partecipano a un E.R.G. sono:

  • 30% più propense a fidarsi del team esecutivo;
  • 23% più propense a percepire un ambiente psicologicamente sano;
  • e 40% più propense a riconoscere un impatto positivo della loro azienda sulla comunità.

Sono segnali forti: dove gli E.R.G. sono attivi e riconosciuti, migliora la percezione di equità e si rafforza il legame tra le persone e l’organizzazione. In altre parole, l’inclusione non resta sulla carta ma diventa cultura vissuta. L’efficacia nasce dal modello stesso di questi gruppi: dal basso verso l’alto, partecipativo, fondato sulla fiducia e sulla condivisione.

Le reti LGBTQIA+: centri propulsori di convivenza delle differenze

Tra tutte le reti interne, quelle dedicate alla comunità LGBTQIA+ sono spesso le più visibili e in molte aziende italiane hanno segnato una svolta: da spazi di ascolto e confronto per le persone queer, sono diventate centri propulsori di cultura inclusiva. Hanno influenzato policy interne, sensibilizzato il top management, promosso campagne di comunicazione e formato persone alleate dentro e fuori i team di lavoro.

Come emerge dai risultati del report Inclusivity at Work (2023) pubblicato da Bain & Company grazie al contributo del suo affinity group BGLAD, l’accelerazione del cambiamento verso ambienti più inclusivi è fortemente legata alla presenza di reti ERG. Non solo perché offrono uno spazio sicuro per la condivisione e la rappresentanza, ma perché riescono – quando ben valorizzati – a trasformare anche esperienze spiacevoli, come discriminazioni o micro-aggressioni, in occasioni di crescita collettiva. 

È la condivisione delle esperienze a fare la differenza: le storie diventano strumenti, e le fragilità si convertono in consapevolezza aziendale. 

In un panorama italiano dove il 30% delle persone LGBTQIA+ ha subito o assistito a episodi di discriminazione sul lavoro e in cui si preferisce il passing come auto-protezione, i gruppi interni sono tra le poche strutture capaci di costruire davvero ambienti più sicuri e accoglienti.

L’importanza degli E.R.G. LGBTQIA+ non si limita al supporto individuale; è nella loro capacità di generare impatto sistemico che risiede il loro potenziale trasformativo. In Levi Strauss & Co., per esempio, la rete di dipendenti LGBTQIA+ in Europa “Unlabeled” è stata coinvolta in progetti di business strategici dell’azienda, contribuendo al lancio di una linea curata interamente da persone queer.

Condizioni per creare una rete E.R.G. che funziona

Avviare una rete interna di inclusione è un gesto potente, ma anche delicato. Per funzionare davvero, un Employee Resource Group deve nascere da un bisogno autentico, dal basso, con un obiettivo condiviso e il sostegno esplicito dell’organizzazione.

Secondo il già citato report Untapped Energy di Great Place to Work, gli E.R.G. che producono un impatto positivo sulle persone e sulla cultura aziendale condividono alcune caratteristiche comuni. Ecco le più importanti:

  • Un mandato chiaro: ogni rete ha bisogno di una missione definita, comprensibile e condivisa. A chi si rivolge? Quali obiettivi si pone? Quali attività promuoverà?
  • Il supporto del leadership team: il sostegno da parte del management non deve essere solo formale. È importante che figure di leadership partecipino agli eventi, promuovano il gruppo e si rendano visibili come alleate.
  • Strutture di governance inclusive: gli E.R.G. efficaci hanno ruoli chiari (portavoce, referenti, persone facilitatrici), regole trasparenti e un sistema di rotazione per garantire partecipazione e sostenibilità nel tempo.
  • Spazi di confronto sicuri: le persone devono poter parlare senza timore di giudizio. È il presupposto fondamentale per costruire fiducia e attrarre partecipazione anche da parte di chi si espone per la prima volta.
  • Un dialogo costante con le funzioni HR e DEI: gli E.R.G. funzionano meglio quando non sono isolati ma collegati ai processi decisionali aziendali, in particolare nella definizione delle policy e dei percorsi formativi.
  • Budget, tempo, riconoscimento: la partecipazione a un E.R.G. non può essere un’attività “extra”. Serve riconoscere il tempo dedicato, assegnare risorse e integrare l’impegno nei percorsi di crescita delle persone.

In un contesto in cui la parola “inclusione” rischia ancora di restare confinata nei documenti ufficiali, gli E.R.G. rappresentano una delle pratiche più solide e concrete per cambiare davvero la cultura del lavoro.

Non offrono soluzioni facili, ma permettono di immaginare (e poi vivere) un’organizzazione in cui tutte le persone possano godere di un senso di appartenenza a partire dalle loro differenze.

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