L’Italia non è più un paese per figli: nel 2017 ne sono nati 474 mila, che è più o meno la metà di quelli nati negli anni ’60. E meno figli vuol dire meno possibilità di pagare le pensioni, la sanità, Pil più basso.
In realtà, come riportato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, le italiane tra i 25 e i 39 anni vorrebbero avere in media 1,85 figli ciascuna, anche se poi ne fanno meno di uno a testa (0,80). E questo accade per due motivi: da un lato la mancanza di risorse personali tali da permettere uno standard di vita dignitoso, dall’altro la mancanza di servizi per l’infanzia. Tant’è che solo 23 bambini su 100 riescono ad essere accolti negli asili nido ogni anno.
Se lo Stato utilizzasse meglio il denaro speso in altri settori e intervenisse su cinque punti, le cose cambierebbero velocemente, secondo Gabanelli e Querzé del Corriere. Innanzitutto, per aumentare i posti nei nidi e abbattere il costo delle rette basterebbero 873 milioni di euro l’anno, che portebbero la copertura attuale dei nidi dal 23,8% al 33%. Poi, con 600 milioni di euro di bonus nido, mamma e papà smetterebbero di affidarsi unicamente ai nonni. Per quanto riguarda le babysitter, se lo Stato garantisse la deduzione dall’imponibile, le famiglie ne guadagnerebbero e il mercato nero emergerebbe. E poi scuole aperte d’estate e migliori congedi ai padri. “Il costo totale delle misure elencate è sui 2 miliardi, a fronte dei 2,5 miliardi delle detrazioni per coniuge a carico. Più che i soldi in tasca, sono i servizi a incentivare le famiglie a fare progetti di vita, e la spesa pubblica andrebbe definita proprio in base alla sua efficacia. Si potrebbe partire da qui”.
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