Dove sono le donne? Se lo chiede la scrittrice Michela Murgia, mentre studia i quotidiani La Repubblica e Il Corriere e ritrova un opinionismo politico che è quasi al 100% maschile. Queste pagine le posta poi sui social, ogni giorno, per mostrare a quale sesso appartengono le firme e i visi delle prime pagine.
In un’Italia Saudita, come la definisce lei sul suo profilo Facebook, sono ancora gli uomini a fornire spiegazioni della realtà, dalla politica, alla cronaca, al costume. Le giornaliste, intanto, si occupano di interviste, di “donnismo”.
No, le donne non possono continuare a parlare solo di donne.
Le testimonianze di Michela Murgia non piacciono a tutti. Per alcuni è solo una lotta pretestuosa. E secondo la scrittrice, non c’è niente di più maschilista.
«Il fatto che si pensi alle donne come a una variante della cosiddetta normalità è il cuore stesso del sessismo. Le donne competenti che scrivono, pensano, studiano e che interverrebbero non sono meno degli uomini. Sono però molte meno nei luoghi del potere culturale, quello dove si sceglie a chi attribuire gli spazi di parola pubblica. La loro rilevanza e visibilità dipende da quanto si accorge di loro chi controlla i processi di riconoscimento e legittimazione».
In un altro articolo, Silvia Truzzi ci ricorda che un report di Agcom di marzo 2017 raccontava che il totale dei giornalisti attivi in Italia è composto da 14.816 donne (41,6%) e 20.803 uomini (58,4%), in linea con le percentuali di occupati della popolazione italiana (41,7% donne e 58,3% uomini secondo i dati Istat). Ma, scrive la Truzzi, si tratta perlopiù di croniste, e non di opinioniste, che guadagnano meno e hanno comunque meno potere.
La campagna #tuttimaschi, iniziata da Michela Murgia attraverso il suo lavoro di documentazione, andrà avanti per un anno: perché «finché le donne non potranno esserci per contare, è essenziale che continuino a contare per esserci».
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