Il mese scorso, Consob aveva pubblicato uno studio svolto su tutte le società italiane quotate in Borsa e ci comunicava che l’impatto della legge Golfo-Mosca 120/2011 si era fatto finalmente sentire: la diversità di genere a livello aziendale influisce positivamente sulla performance delle imprese. Ma attenzione: affinché i risultati siano veramente incisivi, la percentuale di donne nei CdA deve essere pari ad almeno il 17-20%. E in particolare: la redditività del capitale aziendale aumenterebbe di 17 punti se dal 30% di donne si passasse al 40% e di 36 punti se si passasse a 50%.
Ora, però, la legge Golfo-Mosca è avviata alla sua fase di maturità e molti si interrogano su quanto succederà dopo. Il sentimento generale non è positivo. I segnali contrastanti. Se da una parte il Codice di autodisciplina per le società quotate ha inserito, questa estate su impulso della presidente del comitato Corporate governance Patrizia Grieco, la raccomandazione di mantenere la quota minima di un terzo per i consiglieri del genere meno rappresentato, dall’altra parte si riducono le cariche (già scarse) in mano femminile – dice il Corriere della Sera.
In effetti, un’indagine di Deloitte e Sda Bocconi pubblicata lo scorso luglio dopo aver analizzato 194 società italiane, parlava di una presenza di presidenti donne pari solo al 9%(17 in tutto) e di amministratrici delegate pari al 5% (ovvero sia 10).
Adesso che la legge Golfo-Mosca si avvicina alla sua scadenza, cosa succederà nelle aziende dove le donne superano questa percentuale? Si tornerà indietro? Diminuiranno?, si domanda il Corriere. In realtà, il mercato ci dice che l’equilibrio di genere ai vertici deriva da una serie di circostanze, più che da una legge:
- l’essere la società sottoposta alla concorrenza internazionale (gli standard globali prevedono un 33%);
- oppure avere una proprietà più propensa a valutare il merito;
- talvolta (ma non sempre) la presenza al vertice di una donna;
- il costante monitoraggio della situazione.
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