Diversità culturale: in azienda serve “intelligenza” e misurazione

Secondo il 28° Rapporto sulle migrazioni, pubblicato da Fondazione ISMU ETS a inizi marzo, la popolazione straniera in Italia ha ripreso a crescere con moderazione: a gennaio 2022 il dato ha, infatti, oltrepassato i 6 milioni – 88 mila in più rispetto all’anno precedente. La crescita ha riguardato anche il fronte lavorativo, con un aumento della percentuale degli occupati e degli attivi di nazionalità non italiana, oltre che degli stranieri alla ricerca di un’occupazione.

In un mercato del lavoro sempre più eterogeneo, le aziende che investono nella DEI, devono essere in grado di gestire e valorizzare la componente multiculturale, creando ambienti di lavoro rispettosi delle differenze e privi di stereotipi. Per far ciò devono poter contare sul coinvolgimento attivo dei propri vertici e sull’intelligenza culturale delle proprie risorse, ma anche su strumenti di misurazione che sappiano tenere traccia del percorso verso l’inclusione.

 

Multiculturalità e mercato del lavoro

 

In base ai dati rielaborati da ISMU, l’incidenza delle persone straniere nel mercato del lavoro italiano è pari all’11,2% sul totale degli occupati, al 16% sul totale delle persone in cerca di lavoro e al 9,3% sugli inattivi.

Grazie al recupero della componente femminile, il tasso di attività degli stranieri è cresciuto in misura più sostenuta rispetto a quello degli italiani, passando dal 65,6% del 2020 al 67,6% del 2021. Tuttavia, quello delle donne è rimasto di oltre 4 punti percentuali inferiore rispetto al suo livello pre-Covid.

Sembra dunque essersi riavviato il processo di rafforzamento del profilo multietnico del lavoro italiano, interrottosi tra il 2019 e il 2020 a causa della crisi pandemica. Preoccupa, tuttavia, il diffondersi del lavoro “povero” che non genera integrazione, ma al contrario produce una condizione di svantaggio strutturale che tende a ripercuotersi anche sulle nuove generazioni.

 

Stereotipi e pregiudizi: un decalogo per ridurre il loro effetto

 

Sebbene la diversità culturale oggi sia riconosciuta come un importante fattore di crescita delle organizzazioni, stereotipi e pregiudizi legati al colore della pelle, alla provenienza geografica, alla nazionalità, all’origine etnica, continuano a pesare sull’esperienza lavorativa di molte persone straniere o con background migratorio.

La Giornata Internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, celebrata il 21 marzo scorso, ha richiamato l’attenzione sull’urgenza di contrastare le forme di razzismo, xenofobia e intolleranza ancora diffuse e sull’importanza di promuovere il cambiamento per giungere a una reale coesione sociale.

Lavorare sui bias  è un primo passo per favorire la diffusione di una cultura fondata sull’ascolto e sul rispetto di tutte le differenze. I bias sono, infatti, particolari euristiche cognitive usate per esprimere dei giudizi su cose mai viste o di cui non si ha esperienza che con il tempo finiscono per trasformarsi in pregiudizi.

Al riguardo, Valore D ha stilato un elenco di dieci consigli utili – come eseguire lo IAT test, approfondire le leve che generano un giudizio, osservare il proprio ambiente di lavoro – per ridurre gli effetti di pregiudizi e stereotipi e creare luoghi di lavoro inclusivi.

Dieci consigli di Valore D per ridurre gli effetti degli stereotipi

 

La diversità culturale in azienda

 

In azienda, le differenze culturali possono declinarsi in varie forme e riguardare il modo di concepire le gerarchie o assumere decisioni, di gestire il tempo, gli spazi o la prossemica, di affrontare il rischio (avversione o apertura) o di esprimere le emozioni.

Queste diversità sono in grado di apportare numerosi benefici all’interno del contesto organizzativo – tra cui ricchezza, creatività e problem solving; tuttavia, presuppongono anche un’elevata capacità di gestione in chi dirige e una propensione all’adattamento in chi collabora.

Alcuni aspetti delle culture sono percepibili attraverso i sensi, mentre altri rimangono invisibili. Questi ultimi sono i più rischiosi perché possono essere interpretati in maniera inesatta da chi appartiene a una cultura diversa.

A volte, le differenze possono anche generare problemi riguardo all’organizzazione lavorativa. Per questo è molto importante che nei team eterogenei le informazioni e le regole siano chiare e trasparenti, in modo che tutti possano adattarsi o partecipare all’individuazione di una soluzione comune. Essere consapevoli dell’esistenza di rappresentazioni diverse è importante per analizzare ogni situazione in maniera adeguata e prevenire i conflitti.

 

L’intelligenza culturale

 

Oggi, in molte grandi organizzazioni, il test del QI – utilizzato soprattutto in fase di selezione – ha lasciato il posto alla valutazione dell’intelligenza culturale, cioè della capacità della singola risorsa di rapportarsi con la diversità.

Come riferito da Hady Milani, Program Director presso lo European Institute for Innovation and Sustainability, nel corso del Talks Academy “D come diversità” – evento riservato alle aziende associate a Valore D –, chi lavora in ambienti multiculturali impara a relazionarsi con persone dal background eterogeneo.

Nella sua esperienza all’interno del contesto aerospaziale, infatti, l’aver collaborato con persone di nazionalità e culture diverse che condividevano con lui la stessa passione, gli ha permesso successivamente di comunicare con facilità anche con persone con cui non aveva interessi comuni.

In questo senso l’intelligenza culturale altro non è che la capacità di muoversi, agire e ragionare in maniera efficiente anche in ambienti culturali diversi dal proprio.

Questo tipo di intelligenza, che assume un ruolo rilevante nei contesti organizzativi, ha in sé diverse dimensioni: quella metacognitiva, consistente nella capacità di ragionare sulle norme, le pratiche e le convenzioni presenti nelle diverse culture; quella cognitiva, che corrisponde all’attuale conoscenza delle differenze culturali e del modo in cui influenzano le interazioni e consente di porsi in maniera dialogica verso l’altro; quella motivazionale, che riflette il desiderio di investire energie e risorse nell’apprendimento delle diversità; quella comportamentale, che permette a ciascun individuo di tradurre in atti pratici quanto imparato e agire in maniera appropriata.

 

Gestire e misurare la diversità culturale

 

La gestione delle differenze culturali implica l’adozione di una serie di accorgimenti e di buone pratiche che passano innanzitutto dall’accettazione delle diversità e dal riconoscimento della loro importanza, dallo sviluppo di competenze di comunicazione interculturale, dalla costruzione di relazioni significative tra il personale dipendente e dall’erogazione di una formazione continua per la crescita collettiva.

Per un’azienda che voglia accogliere e valorizzare la diversità culturale, è importante inoltre procedere secondo obiettivi chiari e realistici, misurando i propri risultati attraverso adeguati strumenti di monitoraggio, che restituiscano un quadro completo delle politiche DEI adottate e degli obiettivi ancora da raggiungere.

 

 

 

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