Genitori e lavoro: è tempo di cambiare abitudini?

Durante il covid tante persone hanno continuato a lavorare a tempo pieno mettendo in piedi nuove abitudini per tenere in equilibrio il rapporto tra famiglia e lavoro: una diversa routine, faticosa ma funzionale, che per molte si è protratta anche a pandemia conclusa. Alcune di queste abitudini, tuttavia, seppur efficaci in periodo di emergenza, si sono rivelate inadeguate con il ritorno alla normalità.

La riflessione arriva da un articolo pubblicato dall’Harvard Business Review dal titolo “Working Parents, It’s Time to Let Go of These Pandemic-Era Habits”: continuare con i ritmi precedenti, secondo l’approfondimento, potrebbe mettere a repentaglio il raggiungimento dei propri prospect sul lungo periodo e rappresentare un’arma a doppio taglio.

 

Dopo la pandemia è meglio tornare a guardare a lungo termine 

Come indicato nell’articolo, bisognerebbe iniziare ad abbandonare le logiche sposate durante l’emergenza, recuperando una visione a lungo termine.

Creare un’immagine mentale di dove voler essere tra qualche anno professionalmente, personalmente e come genitori, infatti, consentirebbe di affrontare in maniera diversa il tema del lavoro e dei carichi di cura, tornando al giusto equilibrio in casa, a partire da una adeguata divisione dei compiti e da una più efficace gestione dei tempi lavorativi e privati.

Il periodo del covid ha portato a scelte estreme, comandate dalla restrizione e da una visione a breve termine, con lavoratori sempre più equilibristi e genitori ormai convinti che fare di più, senza contare su aiuti esterni, sia possibile: una logica trasformata in insoddisfazione e frustrazione nel momento in cui, finita la pandemia, sempre più persone si sono rese conto di non riuscire a dedicare tempo alla propria famiglia e al lavoro senza essere esauste.

 

Genitori e lavoro: evolvere è salvaguardarsi

Questa situazione oggi rappresenta un rischio sia sul piano personale e degli affetti sia su quello professionale, con ricadute sulle prospettive di carriera e sul raggiungimento dei goal aziendali.

Secondo l’Harvard Business Reviews, non cercare aiuto quando se ne ha effettivamente bisogno non fa di una persona un genitore più attento, ma solo più oberato e incapace di vivere a pieno i momenti dedicati all’una o all’altra attività.

Il pericolo, dunque, legato a queste situazioni di particolare stress è che spuntino sintomi da burnout, come tensione e irritabilità, senso di fallimento e scarsa autostima, e si acuisca la percezione di avere a che fare con dinamiche aziendali oppressive e con un senso di realizzazione sempre più ridotto – cause che spesso portano all’abbandono del posto di lavoro. Al riguardo, nei primi nove mesi dello scorso anno in Italia 1,66 milioni persone hanno rassegnato le dimissioni (fonte: ministero del lavoro): il peggior dato degli ultimi 5 anni.

Meglio, quindi, rinnovare le proprie abitudini e decisioni, facendo ancora attenzione ai propri bisogni senza incatenarsi a standard irrealistici.

Flessibilità e welfare. Verso una cultura aziendale dinamica

Tornare ai ritmi pre-covid, del resto, non vuol dire rimettere in moto la vecchia routine. Il ritorno al lavoro, come accennato, può essere un’occasione per introdurre delle modifiche nella gestione della vita familiare, considerando che il periodo emergenziale ha cambiato tanto i lavoratori e le lavoratrici quanto le aziende, dando un’accelerata sul fronte della digitalizzazione e della flessibilità come mai prima.

Il benessere dell’individuo è ormai indispensabile per un rendimento lavorativo ottimale e sono proprio le società più strutturate a proporre modalità di lavoro da remoto differenti (modalità Activity Based, Club House, Hub & Spoke, ad esempio) e a sperimentare nuove soluzioni, come ad esempio la settimana corta, così da permettere a ciascuna risorsa di gestire il tempo personale al meglio e di potersi dedicare alla famiglia.

Alla base vi è infatti un nuovo concetto di cultura aziendale dinamica e agile, pensata per tutti i soggetti coinvolti: persone, imprese, e ambiente, che mira a contrastare anche la cosiddetta “Hustle Culture” – l’idea di stacanovismo, che si possa fare tutto senza l’aiuto altrui e ci sia sempre di più a cui aspirare, un tetto più alto da abbattere, con più soldi da guadagnare – e il suo fenomeno opposto, quello del Quiet Quitting che fa riferimento al distacco mentale ed emotivo sperimentato da lavoratori e lavoratrici, sempre più sfuggenti alle dinamiche d’ufficio e disposti a fare il minimo indispensabile – una condizione in grado di impattare non solo la vita professionale delle persone ma anche quella privata.

Cambiare questa narrazione oggi significa restituire valore all’importanza dell’equilibrio, ripensare il rapporto vita-lavoro e di riflesso le abitudini legate alla genitorialità. È un tema centrale, che necessita di essere approfondito e affrontato, sia all’interno delle aziende con strategie sempre più estese ed efficaci, sia nelle sedi istituzionali con misure mirate che sappiano interpretare i bisogni della società.

 

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