Oggi è la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un’occasione per accendere i riflettori su una fascia debole della società su cui grava un grande peso. Sui bambini, infatti, si riflettono con particolare forza gli effetti che la crisi e una distribuzione disomogenea della ricchezza generano, in particolare per aspetti particolarmente importanti come il lavoro dei genitori e i servizi di welfare. Per questo i bambini hanno maggiori probabilità di vivere in povertà rispetto agli adulti.
Oggi in Italia la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 30%, (18.136.663 individui, dati Istat 2016) e, purtroppo, il trend è in aumento. In particolare, il 12,1% vive in condizione di grave deprivazione materiale e il 12,8% sono gli individui appartenenti a famiglie a bassa intensità lavorativa (Istat, 2016).
Di seguito, il grafico che illustra, nella ricerca citata dal Sole 24 Ore, l’elevato rischio di povertà dei bambini che vivono in famiglie di intensità di lavoro molto bassa: addirittura il 67,2% nell’UE.
Ciò desta preoccupazione anche perché il legame tra la povertà intesa quale deprivazione materiale e la povertà educativa è un circolo vizioso. Essere poveri sul versante materiale aumenta il rischio di essere poveri dal punto di vista educativo e viceversa. Una condizione sfavorevole di partenza che può avere effetti di lungo periodo. Pertanto, occorre prestare particolare attenzione ai bambini che vivono in famiglie a basso reddito per garantire loro pari opportunità e per impedire il svantaggio, costoso per gli individui e la società nel suo complesso. Vivere in povertà significa spesso un accesso limitato all’assistenza sanitaria, un rischio più elevato di abbandono scolastico e, successivamente, disoccupazione e povertà, e non raggiungere il pieno potenziale in generale. Ma non è tutto. Tra gli individui in povertà assoluta si stima che le donne siano circa 2 milioni e mezzo (pari all’8,0%), i minorenni 1 milione 208mila (12,1%).
Correlazione tra lavoro dei genitori e povertà minorile
Tutelare l’infanzia significa ripartire dai genitori, aiutandoli e sostenendoli, ad esempio, a conciliare lavoro e vita familiare, favorendo l’occupazione, in particolare delle donne. In un articolo del Sole 24 Ore si cita uno studio a livello europeo del 2016 in cui si evidenzia chiaramente che la povertà minorile è correlata al lavoro dei genitori.
“È importante sostenere l’accesso al mercato del lavoro attraverso un’assistenza all’infanzia di buona qualità, prevedere modalità di lavoro flessibili per madri e padri e garantire posti di lavoro adeguatamente retribuiti. Inoltre, dovrebbe essere disponibile una forte rete di sicurezza per coloro che non riescono a partecipare al mercato del lavoro o quando il lavoro non è sufficiente a proteggere le famiglie dalla povertà”.
Insomma, investire nell’occupazione per i genitori, rimuovere gli ostacoli esistenti alla parità di genere, favorire le politiche di conciliazione vita-lavoro, misure di flessibilità oraria in ambito lavorativo (come lo smart working) possono essere un modo economicamente efficace per prevenire i problemi sociali di domani. Il lavoro si afferma ancora come migliore forma di protezione sociale per molti Paesi UE.
Per saperne di più, consulta la ricerca “Famiglia, lavoro e gender gap: come le madri-lavoratrici conciliano i tempi”, che analizza la relazione tra famiglia e mercato del lavoro e in particolare le criticità che impediscono a molti genitori, soprattutto tra le donne, di lavorare.