Il Sustainability Sentiment, l’indagine di Aida Partners e Message Group arrivata ormai alla sua quinta edizione, ha cercato di capire a che punto è lo stato di salute della sostenibilità aziendale di 91 società italiane, di cui 81 quotate. La ricerca ha coinvolto, come sempre, CSR manager, investor relations officers, responsabili marketing e responsabili della comunicazione, chiamati a rispondere a un questionario on-line.
Dalle risposte sembra che tutti siano d’accordo: “La sostenibilità è un modello di gestione dell’impresa che, attraverso il coinvolgimento degli stakeholder, ne migliori le performance ambientali, sociali ed economiche massimizzando reputazione e valore”. Per dirla in altri termini: secondo i principi della sostenibilità – e quindi la rilevanza della dimensione umana e sociale – il conseguimento del profitto economico deve poter avvenire nel rispetto degli interessi di tutti. E se tutti vengono coinvolti, se tutti partecipano, questo profitto cresce.
All’importanza della sostenibilità, definita in questo modo, crede anche Valore D: il nostro scopo principale è infatti la promozione della diversità e la valorizzazione di tutti i talenti all’interno delle imprese.
Ma quanti sono poi veramente coinvolti in maniera sostenibile?
Guardando all’ultima parte della definizione di sostenbilità (“massimizzando reputazione e valore”), i primi dati che emergono dall’Osservatorio Sustainability Sentiment rivelano che gli sforzi – quelli di tutti – servono: la sostenibilità è un argomento presente all’interno delle aziende, fa parte delle loro strategie business e viene collegata ad un’idea di valore (reputazionale e di fatturato). Infatti, contribuisce a creare valore tout court per il 79% dei rispondenti (+14% rispetto al 2015) e crea valore sui mercati finanziari per il 72%.
La sostenibilità è poi un asset soprattutto ai vertici, e infatti cresce il suo ruolo nei CdA (+125% rispetto al 2015). Questo ci dice, peraltro, che il supporto di chi sta in alto è fondamentale e che il rischio, senza tale appoggio, è che la sostenibilità rimanga un esercizio solo secondario.
Ma veniamo ora alla parte centrale di quella definizione, quella che ci parla del coinvolgimento degli stakeholder. Qui il Sustainability Sentiment ci dà notizie non troppo positive: la sostenibilità viene considerata solo a livello autoreferenziale, tant’è che, oggi, gli stakeholder risultano essere meno importanti (-4%) per le aziende di quanto non lo fossero nel 2015.
Chi sono gli stakeholder? Questionario alla mano, sono tutti coloro che influenzano la capacità dell’impresa di raggiungere i propri obiettivi, e quindi azionisti, risorse umane, clienti, media.
Message group ha commentato, rispetto a questo risultato, che «con una cultura della sostenibilità che mette radici nelle imprese (anche se con qualche difficoltà), ascoltare gli stakeholder è un primo passo, ma non è sufficiente se a questo ascolto non segue una risposta e il coinvolgimento». Anche secondo Valore D, l’inclusione delle diversità non può essere unilaterale, e arriva solo nel momento in cui le aziende portano gli individui al centro della loro attività.
«Perché ciò avvenga efficacemente – continua Message Group – contribuendo a creare valore, è però fondamentale che lo Stakeholder Engagement entri nei processi aziendali in modo continuo e pervasivo». Solo in questo modo il profitto raggiunto potrà dirsi veramente etico. E se la reputazione conta, è bene allora che le aziende riflettano su come implementare ulteriormente questo punto.