Oggi, domenica 8 maggio, si festeggia la festa della mamma che, celebrata per la prima volta negli Stati Uniti a inizi del secolo scorso, è arrivata in Italia nel 1956.
I dati però indicano che per le donne non c’è molto da festeggiare, in particolare per le mamme.
Nel 2021 in Italia il tasso di occupazione femminile (15-64 anni) è stato del 49,4% con un distacco di oltre 17 punti rispetto a quello maschile (67.1%) (Istat, 2021) e anche la leggera ripresa economica ha visto le donne penalizzate. Degli oltre 250 mila contratti trasformati in tempo indeterminato, solo il 38% è andato a loro. E mentre agli uomini sono stati attivati oltre 2 milioni di contratti, di cui il 18% indeterminato, alle donne ne sono stati attivati 1.3 milioni di cui solo il 14.5% a tempo indeterminato (Save the Children, Le equilibriste, 2022).
Maternità o carriera?
La maternità poi è un lusso che sempre meno donne sentono di potersi permettere tant’è che per ogni donna nascono 1.24 bambini, uno dei numeri più bassi dell’Unione Europea, dove la media è di 1,50, con picchi in Francia e Svezia (rispettivamente 1.83 e 1,68 bambini per donna) (Eurostat, 2020).
Il tasso di natalità nel 2021 ha segnato quindi l’ennesimo minimo storico scivolando sotto alle 400mila nascite, in diminuzione di 1.3 punti rispetto all’anno precedente (Istat, Dinamica Demografica, 2021), e molto più basso rispetto alla soglia che consente uno sviluppo equilibrato tra generazione, con il rischio concreto di trovarsi tra pochi decenni con un rapporto 1:1 tra lavoratori e pensionati.
Le ragioni che portano le donne italiane a ritardare la maternità e ad avere il primo figlio intorno ai 31.4 anni (contro la media europea del 29.5) (Eurostat, 2020) sono risapute: carichi di cura sbilanciati, asili nido che scarseggiano, difficoltà a progredire nella carriera, retribuzioni inferiori – il tutto aggravato negli anni di pandemia – sono solo alcune delle motivazioni che portano molte madri a lasciare il posto di lavoro già dopo la nascita del primo figlio.
Motherhood penality
La maternità costituisce uno “shock” professionale che si ripercuote sul lungo periodo, tant’è che si parla di “motherhood penality” o di “child penality gap”. Le donne tra i 25 e i 49 anni senza figli hanno un tasso di occupazione del 74%, ma il dato crolla al 53% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni e diventa drammatico nel Mezzogiorno dove lavora solo il 35.3% delle donne con figli piccoli. (Istat, BES, 2021).
Non sorprende quindi che lo scorso anno oltre 30 mila donne con figli abbiano rassegnato le dimissioni! (Save the Children, Le equilibriste, 2022) Avremo quindi sempre meno coppie con figli: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli e più di una su cinque non avrà figli. (Istat, Previsioni della popolazione, 2021).
Le aziende
Secondo una ricerca di ManpowerGroup, il 57% degli uomini e il 74% delle donne dei Millennials prevedono di prendersi una pausa dal lavoro per la cura dei figli, degli anziani o per sostenere un partner nel lavoro – un tasso molto più alto rispetto alle generazioni precedenti.
Sempre più aziende dovranno guardare al “bacino disperso” di persone qualificate che hanno fatto un’interruzione di carriera per riportare al loro interno talenti preziosi, attivando programmi di ritorno al lavoro che prevedono percorsi di coaching e mentoring, upskilling e reskilling.
Entro il 2025 la trasformazione digitale porterà 97 milioni di nuovi posti di lavoro in ambiti ad alto impatto digitale e già oggi molte aziende fanno fatica a ricoprire alcuni ruoli perché esiste un elevato disallineamento tra competenze disponibili e competenze necessarie, soprattutto in ambito STEM, settore in cui le donne, in particolare, sono scarsamente rappresentate.
Una cultura aziendale inclusiva che agevoli il rientro attraverso politiche che facilitano la conciliazione famiglia-lavoro e programmi che accompagnano nello sviluppo delle competenze richieste dalle transazioni green e digital avrà maggiori possibilità di attrarre e trattenere i talenti.