Rapporto Inapp-Plus: lo squilibro di genere diventa dispersione del capitale umano

È ancora molto forte il gender gap nei tassi di occupazione in Italia. Dalla divisione dei carichi di cura in famiglia, agli “effetti” della maternità, fino alla diversa partecipazione nel lavoro e alle differenze retributive a parità di carriera, sono tante e spesso concatenate le cause dello squilibrio di genere, che pongono l’Italia molto distante dalla media europea. A proporre l’analisi sul tema, il Rapporto Inapp Plus 2022 “Comprendere la complessità del lavoro”: un’indagine condotta su un campione di 46.000 individui dai 18 ai 74 anni, che identifica il mancato capitale umano femminile nel mondo lavorativo.

La dispersione delle donne nel lavoro

Secondo il report, la maternità continua a rappresentare la causa principale della dispersione delle donne: quasi 1 su 5 (il 18%) tra i 18 e i 49 anni abbandona l’occupazione con l’arrivo del primo figlio. Per il 52% delle intervistate è difficile la conciliazione tra lavoro e cura; per il 29% l’abbandono è dovuto al mancato rinnovo del contratto o al licenziamento; il 19%, invece, non vede più nell’impiego la convenienza economica.

A pesare, innanzitutto, è la scarsa disponibilità e accessibilità – con differenze significative a livello territoriale – dei servizi per la prima infanzia, che ove presenti faciliterebbero la partecipazione al mondo lavorativo e la riduzione del gap di genere.  Dall’indagine INAPP, che ha esplorato in maniera articolata le dinamiche all’interno dei nuclei familiari, emerge che il 56% di persone occupate non ha mandato all’asilo nido i propri figli di età compresa tra 0 e 36 mesi.

Rimangono, dunque, le madri le principali caregiver. Contano sulla famiglia “estesa” (ovvero i nonni, la risorsa principale del “welfare-fai-da-te”) quando non riescono più a farsi carico della cura dei figli. Osservando le quote di ricorso all’aiuto dei nonni, il dato più elevato per questa opzione si registra al sud e nelle Isole, con il 63% a fronte di una media nazionale del 57,9%.

Si tratta in ogni caso di soluzioni spesso precarie, per cui talvolta lasciare il posto di lavoro per le donne è inevitabile.

Part-time involontari e meno carriera

Delle intervistate, solo il 43% riferisce di aver continuato a lavorare sia prima sia dopo la gravidanza – una percentuale che diminuisce notevolmente al Sud e nelle isole (29%).

Dai dati emerge che sono le donne più istruite – il 65% possiede la laurea – e che i settori di maggiore impiego sono quello pubblico o dei servizi: una “segregazione occupazionale”, così come definita nel report, che spesso si unisce a fenomeni di “discriminazione indiretta”.

Al riguardo, l’indagine INAPP, che rintraccia la presenza di variabili di genere rispetto al differenziale retributivo, mostra una diffusione di contratti a tempo determinato e di “part time involontari” principalmente tra le donne (70%). A parità di mansione, queste ultime lavorano meno ore e hanno meno accesso a ruoli di responsabilità e di carriera rispetto agli uomini nonostante la maggiore esperienza.

Il report segnala il gap più ampio nella fascia di reddito più bassa, dove è presente ben oltre il 58% delle lavoratrici a tempo parziale. Per loro, il lavoro dipendente risulta essere l’unica forma di accesso alla fascia di reddito superiore, senza rompere il delicato equilibrio in famiglia. Diversa è la situazione dei colleghi: sono più giovani e con meno qualifiche (quasi il 74% ha un’età compresa tra i 18 e i 45) e vedono il part-time solo come un punto di partenza per la carriera (che prevede completa disponibilità) o per l’avvio della professione autonoma, liberi dai carichi di cura.

Senza donne a lavoro: mancanza di capitale umano

Allo squilibrio appena delineato contribuiscono, inoltre, tutte le donne che dopo il primo figlio tentano di rimettersi in gioco senza successo (solo il 6,6% riesce) e coloro già prive di impiego, prima della maternità (il 31,8%).

Numeri che fanno riflettere: si tratta, infatti, di un potenziale inespresso che andrebbe invece qualificato e sostenuto con ogni supporto, considerando sia l’importanza della partecipazione femminile al mondo del lavoro sia quella della maternità – l’Italia è, infatti, l’ultimo paese in Europa per tasso di natalità (il minimo storico nel 2022 con 400.000 nati). Intervenire su questi due fronti con misure appropriate è indispensabile per superare una visione stereotipata dei ruoli e ridurre il gap di genere: significa compiere un passo avanti tanto per le generazioni di oggi, quanto per quelle di domani.

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