Il ruolo del maschile nel dibattito di genere. Intervista a Claudio Nader, Osservatorio Maschile

Nel dibattito contemporaneo sui generi, il maschile è spesso il grande assente. Eppure, dietro le espressioni di disagio che oggi attraversano la società si nascondono domande e fragilità che meritano attenzione. Osservatorio Maschile nasce per dare voce a questa complessità, promuovendo una riflessione culturale profonda e non difensiva.

In questa intervista per Valore D, Claudio Nader, founder di Osservatorio Maschile, docente e membro del comitato divulgativo di Fondazione Giulia Cecchettin, racconta perché è importante affrontare il maschile in modo nuovo e costruire alleanze autentiche che diano spazio a una vera trasformazione.

Dialogo e alleanze per costruire un maschile più consapevole

Valore D e Osservatorio Maschile condividono un obiettivo simile, quello di diventare “inutili” nel prossimo futuro, cioè riuscire a creare una società in cui non sia più necessario intervenire, rispettivamente, sui temi della diversità e inclusione e del rapporto tra i generi. In particolare, Osservatorio Maschile nasce come contenitore culturale e di ricerca per esplorare la maschilità in modo critico e costruttivo. Quali sono le attività principali che portate avanti e come si articolano i vostri percorsi di formazione, divulgazione e ascolto?

C.N.: Sì, esatto. Osservatorio Maschile è nato nel 2023 e chiuderà nel 2053, proprio con l’obiettivo dinrendersi inutile entro trent’anni. Questo obiettivo ci guida già da questi primissimi anni di lavoro. Il progetto è nato con l’intento di contribuire a costruire una ricca prospettiva maschile verso le questioni di genere, che è una cosa di cui sentiamo molto la mancanza. Negli ultimi decenni e secoli è stato fatto tantissimo lavoro a livello femminista (un lavoro che aperto moltissime strade) ma non è stato fatto praticamente quasi nulla sul maschile, proprio perché non c’erano gli uomini a farlo. Noi vogliamo fare quel pezzo di lavoro: aumentare la conoscenza delle dinamiche interne al genere maschile.

Facciamo ricerca, divulgazione, formazione e soprattutto produzione culturale: eventi, festival, workshop, tante iniziative pubbliche che hanno l’obiettivo di portare gli uomini attorno al tavolo delle questioni di genere e rendere il maschile non solo un soggetto ma anche un tema di indagine. Per il mondo corporate in particolare i nostri interventi in ottica DE&I rispondono spesso alla domande “riuscite a coinvolgere gli uomini della nostra azienda attorno a questi temi?”. La risposta è che lo facciamo in vari modi, tramite formazioni, workshop e percorsi e siamo molto contenti di poter dire che sta funzionando molto bene!

Solo negli ultimi anni si è iniziato a parlare di disagio maschile, spesso associato a fenomeni come quello degli incel o a derive radicali. Il maschile sembra intrappolato in modelli rigidi, dove l’espressione emotiva è ancora vista come debolezza. Quali possono essere i primi passi, soprattutto per i più giovani, verso la costruzione di una maschilità più consapevole e libera da stereotipi?

C.N.: Sì, negli ultimi anni si è iniziato a parlare di disagio maschile — di molti diversi disagi maschili — e spesso queste esplorazioni partono dall’analisi del mondo degli Incel e della cosiddetta “manosfera” (forse avrete visto la serie Netflix Adolescence, che tratta questi temi).

La verità purtroppo è che, come spesso succede, si riesce a parlare di questi temi e a “bucare lo schermo” soprattutto quando si citano i fenomeni più gravi: gli esiti più estremi, quelli che in effetti connotano delle chiare emergenze sociali. Succede in ambito femminista (con le tematiche legate in particolare alla violenza), e succede anche nel lavoro sul maschile. Si parla di questi temi soprattutto quando partono da un caso di cronaca o altro che attira l’attenzione mediatica. Possiamo dire che il disagio maschile viene preso in considerazione soprattutto quando diventa un problema verso le altre persone ma piano piano ci si sta iniziando effettivamente a muovere su un registro più ampio abbracciando il fenomeno in maniera più ampia. Il lavoro è ancora lungo, ma un po’ di strade aperte ci sono.

In quanto persone adulte, è davvero difficile dire a una persona più giovane “dovresti fare questa cosa” e pensare che poi la farà. Credo che la cosa più fruttuosa e preziosa sia lavorare su di noi adulti, per poter evolvere noi stessi e quindi riuscire anche a dare esempi diversi alle nuove generazioni. I nostri comportamenti sono grande parte della cultura che arriva ai giovani. Credo sia importante non rimandare ad altre generazioni questa evoluzione.

Oggi le relazioni tra generi sembrano sempre più polarizzate, con tensioni che si riflettono anche nella politica, nei media e nella vita quotidiana. Come possiamo leggere questa polarizzazione?

C.N.: C’è da dire che alcune volte sembra che il mondo sia più polarizzato che mai, altre volte invece sembra solo che siano gli algoritmi social a farci percepire questa polarizzazione, tenendoci sempre in stallo e in tensione con polemiche, notizie e conflitti su tanti temi diversi. La cosa che posso dire, quasi al termine dei primi tre anni di Osservatorio Maschile, è che provare a parlare e occuparsi di questi temi in maniera non polarizzata e oppositiva ma propositiva sta pagando molto: sta funzionando molto bene. Ovviamente siamo all’inizio ma stiamo riuscendo a non rimanere sempre incastrati nella polarizzazione. Tra l’altro, sembra quasi che esista una fortissima resistenza maschile rispetto a tutte queste tematiche e invece una cosa che notiamo è che in tantissimi casi quella che sembra resistenza è, in realtà, soprattutto inconsapevolezza.

Da quando abbiamo iniziato a lavorare, anche solo esplicitare che “esiste uno sguardo sugli uomini, esiste un modo per parlare di maschile e di uomini, in maniera concentrata e dedicata” fa sì che moltissimi uomini pensino “ah, cavolo, non ci avevo mai pensato a questa cosa”, e gli venga voglia di venire a curiosare, approfondire e molto spesso poi a seguire eventi, proporre collaborazioni, richiedere formazioni, ecc.

In realtà, questa polarizzazione non si può disattivare del tutto ma si può scavalcare in molti casi e in molti modi: si riesce a lavorare anche in un contesto che risulta polarizzato e che fa pensare che non si possa progredire. Non è vero: si può progredire. Considera che uno dei principali parametri che possiamo già condividere è che negli eventi organizzati da noi (corporate e non) in media abbiamo il 50% di pubblico maschile, a fronte di una media del settore delle questioni di genere che è circa il 10%. Parlare di maschile risulta essere un buon punto di entrata alternativo per poter accendere l’attenzione di tutti i generi su temi come la genitorialità, gli stereotipi, la parità di genere, la violenza, i ruoli professionali, l’educazione e moltissimi altri.

Nel confronto tra riflessione sul maschile e femminismi emergono spesso dei cortocircuiti, anche perché il percorso di consapevolezza maschile è ancora agli inizi. Ma non è solo il maschile a dover cambiare: anche molte donne stanno iniziando a mettere in discussione le proprie aspettative e stereotipi su ciò che gli uomini “dovrebbero essere”. Come si può costruire un dialogo che riconosca queste reciproche responsabilità e apra spazi comuni di trasformazione, evitando contrapposizioni e favorendo alleanze autentiche?

C.N.: Su questo punto è importante dire una cosa: qualunque lavoro sul maschile che si stia facendo oggi, di fatto, nasce dal lavoro che il femminile — e i femminismi — hanno innescato. Tantissimi stimoli che anche agli uomini sono serviti per sbloccare preconcetti e scoprire una voglia di evoluzione sono arrivati perché il genere femminile è riuscito a raccontare di sé in tantissimi modi, a raccontare tantissime questioni femminili e poi femministe in modi meravigliosi, per decenni e secoli.

Il rapporto tra uomini e femminismi, secondo me, ha la potenzialità di svilupparsi secondo una dinamica simile: l’aumento della consapevolezza rispetto ai meccanismi della cultura e dell’identità maschile può permettere agli uomini di raccontare, a tutte le altre persone, come funziona la maschilità e questo può permetterci di sviluppare alleanze e costruire strade comuni, con un livello di consapevolezza che possa partire da una relazione paritaria e che possa permetterci di andare avanti insieme in un discorso collettivo e comune, senza dover ogni volta ripartire dalle basi.

In che modo Osservatorio Maschile collabora con altre realtà per costruire una rete di alleanze? E quali sono le sfide principali in questo percorso?

C.N.: Beh, Osservatorio Maschile è prima di tutto un progetto collaborativo. La maggior parte delle cose che abbiamo fatto in questi primi tre anni sono state fatte con altre realtà: abbiamo lavorato con il teatro, con il mondo dell’attivismo, con le realtà corporate, con le università, con le istituzioni, con le APS, con consulenti DE&I, formatori e formatrici, esperti del mondo Gender Studies e Men’s Studies. La difficoltà principale che incontriamo è sui metodi di lavoro, non sui contenuti e non sulle intenzioni. Troviamo tante intenzioni comuni e tanti contenuti complementari ma ci relazioniamo con realtà che hanno metodi di lavoro molto diversi, cosa che rende difficile, a volte, riuscire ad avanzare in maniera coordinata senza che diventi troppo faticoso a livello operativo.

Però Osservatorio Maschile è per noi una piattaforma, una realtà orizzontale che vuole contribuire a dare stimolo al settore. Questo è un po’ quello che vorremmo provare a fare, che stiamo cercando di fare ed è un approccio che ci sta dando tantissime soddisfazioni.

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