Il linguaggio a tutela dell’inclusività

Il linguaggio continua ad essere un potente boomerang nella fruizione dei nuovi media. Situazione in cui oggi la tecnologia sta intraprendendo una nuova missione: diffondere parole sempre più inclusive per proteggere le diversità.
Un percorso tanto lungo quanto travagliato, che punta ad una società più rispettata, senza odio e senza “esclusi”. In attesa di nuove generazioni cresciute in maniera più consapevole e responsabile.

 

Un algoritmo contro la violenza in rete

Non è un caso che arrivi dalla Generazione Z il primo algoritmo in grado di rilevare i tweet che contengono hate speech.

Arianna Muti – classe 1995 – , con un dottorato di ricerca in linguistica computazionale, lavora già da qualche anno per focalizzarsi su quello che i computer possono trasmettere e come possono aiutare a farci vivere meglio.

“Il mio obiettivo finale è il linguaggio implicito – commenta Arianna Muti – insegnare alla macchina tutti i tipi misoginia e di discorso d’odio e farle riconoscere da subito il linguaggio figurato e metaforico”.

Ascolta il podcast su Arianna Muti

Un progetto che punta a filtrare i discorsi violenti di ogni natura e che potrebbe andare anche oltre. Se acquisito da parte di Twitter o similari – come spera la Muti– potrebbe proteggere chi naviga ed educare chi scrive, aumentando la consapevolezza del gesto.

Non solo.

L’algoritmo nel momento in cui viene impedita la pubblicazione potrebbe anche allertare la piattaforma. Uno studio effettuato nel 2021 dall’Università di Sidney dimostra, infatti, che esiste una correlazione tra la diffusione dell’hate speech e la violenza domestica, tanto da poterne definire anche le zone geografiche. Aree rosse da tenere sotto osservazione, magari, prima che accada il peggio.

Più che su altri media, del resto, la comunicazione in rete da parte di privati e aziende ormai è sempre più un atto di coscienza e responsabilità.

 

Webinar in azienda: la Diversity Inclusion non è un gioco  

“Il linguaggio influenza il pensiero comune ed è funzionale alla cultura – dice Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D. Dobbiamo ancora lavorare per rappresentare la realtà nel rispetto delle diversità”.

Valore D mette al centro dell’attenzione il problema con webinar e corsi di formazione per le imprese, mostrando come sia urgente partire dalla comunicazione istituzionale: indispensabile dapprima disinnescare ostilità sulla DE&I e sviluppare nuovi approcci in ufficio rispetto alle diversità.
Un percorso arricchente nella strategia dei brand, dai comparti dell’H&R al marketing, mitigando l’interazione tra colleghi, tutelando le categorie più fragili e rendendo le esperienze interne veri esempi di vita. Il primo passo per una comunicazione esterna “pulita” su ogni fronte, oltre ad un vantaggio competitivo a livello di business: il 77.5% della popolazione italiana, infatti, è più propenso all’acquisto di brand inclusivi (Diversity Brand Index 2021).

 

Una “società senza esclusi” con internet e smartphone

Certo è che il mondo online – dove per primo si sta combattendo la battaglia del linguaggio inclusivo – non è ancora in grado di coinvolgere tante categorie di utenti, come anziani e disabili, che spesso ancora non riescono a fruire della rete.

Una “società di esclusi” dovuta anch’essa a un problema di “linguaggi” e accessibilità.

A questo sta lavorando la FAND – Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili; Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro; Ente nazionale sordomuti; Unione italiana ciechi, Unione nazionale mutilati per servizio, Associazione nazionale guida legislazioni andicappati trasporti, Associazione per la ricerca sulle psicosi e l’autismo).

Il gruppo oggi ammonta complessivamente a circa cinque milioni di iscritti e può mettere nero su bianco quali sono tutte le loro difficoltà sul fronte informatica e web. Dal 1997 porta avanti una proposta denominata “Uguali grazie alla legge”, con lo scopo di rendere attive le norme esistenti a sostegno dei fragili.

Nello specifico, la Federazione spinge sulle aziende poco sensibili e lotta per rendere vincolanti le direttive in tema di accessibilità del W3C e dell’AIPA, cosicché i siti di informazione e di servizio a carattere pubblico e di interesse generale siano fruibili a tutti, con un linguaggio il più congruo possibile. Non per ultimo, la FAND cerca anche di incentivare l’acquisizione degli strumenti necessari al rapporto con la rete – con una politica di abbattimento dei costi per Internet, computer e smartphone – così da poter agevolare l’inclusione a tutto tondo delle categorie, oltre a facilitarne l’immissione nel mondo del lavoro.

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