L’identikit che emerge dall’ultimo rapporto Censis sull’avvocatura non è dei più ottimistici. Sul Corriere L’Economia Luisa Adani traccia il ritratto della professione: note dolenti sul reddito (uguale a 20 anni fa), anche per i giovani. Prosegue la femminilizzazione della professione, le donne sono diventate la metà degli avvocati, ma ancora con un pay gap che arriva al 44% rispetto ai colleghi maschi.
Gli iscritti all’Ordine nel 2017 erano 242.796, le donne sono sempre di più. Se il trend prosegue sorpasseranno presto i colleghi: sono aumentate di quasi 95mila unità con un tasso complessivo di crescita del 452%, ma guadagnano il 60% in meno.
Il reddito
Negli anni i guadagni si sono progressivamente ridotti, tanto che il reddito medio è praticamente uguale a quello di vent’anni fa: il potere d’acquisto in vent’anni è quindi diminuito del 29%. Secondo i dati della Cassa nazionale, il reddito a inizio carriera è intorno ai diecimila euro all’anno, il dato medio indipendentemente dall’età è di 38.437euro. E la carriera economica non è rapida, infatti il reddito superiore alla media si raggiunge a 40 anni, 55 se si è una donna. Il punto di svolta arriva, indipendentemente dal sesso, a 45 anni, momento in cui si passa dai 29 mila euro all’anno ai 41 mila euro.
Le prospettive
Gli avvocati intervistati dal Censis non sono molto ottimisti sul loro futuro. Il 62,2% ritiene che la situazione sia critica (per il 34,1% «abbastanza», per il 28% «molto critica»), il 13,3% invece vede un futuro più sereno (l’1,2% è molto ottimista) e il 24,5% prevede stabilità. L’indagine ha poi voluto tastare l’opinione degli avvocati su cinque innovazioni normative introdotte o in via di introduzione che riguardano la professione.
La possibilità di esercitare la professione in forma societaria e con l’ingresso di soci non professionisti (legge sulla Concorrenza 124/2017) è vista da poco più della metà degli intervistati con cautela (è la somma delle risposte «il non professionista può condizionare ai suoi fini l’attività dei professionisti» e «la presenza di un socio non professionista estende i rischi di un conflitto di interesse»). Per il 7,8%, invece, è un dispositivo dannoso.