La parità di genere nel mondo delle professioni è ancora un miraggio: le donne si difficile equilibrismo tra vita privata e attività professionale, sentendosi discriminiate in quanto donne. Un fenomeno indagato oggi da un articolo sul Sole 24Ore che riporta dati dell’«Indagine sulle sfide delle risorse umane» realizzata da Mopi, associazione per la promozione del marketing nelle professioni patrocinata, tra gli altri, dal Comune di Milano, e dagli Ordini di commercialisti, architetti, ingegneri e medici, su un bacino di 653 professionisti.
«Abbiamo pensato di realizzare questa ricerca per dare visibilità a un settore dove il gender balance è più difficile da raggiungere», spiega Gaia Francieri, socia fondatrice di Mopi. Il dato che colpisce subito nel segno è la ripartizione di genere: solo il 19% degli uomini ha risposto alle domande del questionario. Metà del campione è composto da avvocati e avvocate, la categoria più sensibile, secondo l’indagine, al problema della parità di genere. Seguono ingegneri (18%) e commercialisti (14 per cento).
L’ostacolo principale è la conciliazione vita privata – lavoro
La penalizzazione delle donne nel mondo delle professioni ha varie facce: tra le più pesanti per la carriera è lo sbilanciamento nei lavori di cura, soprattutto con la nascita dei figli: il 41% delle intervistate ha infatti dichiarato di cercare di lavorare di meno a favore della gestione dei bambini. Una trasformazione di vita non percepita dall’80% dei colleghi: solo il 20% prova a dedicare meno tempo alla carriera a favore della famiglia.
«Uno dei dati più significativi è quello legato all’atteggiamento dei professionisti rispetto ai partner – spiega Francieri – si evince che con la nascita dei figli gli uomini tendono a desiderare che la propria partner abbia più tempo libero possibile (21,74% contro il 10,5 dei professionisti senza figli) e nessuna trasferta».
La forbice del gender gap si fa più larga sul fronte delle opportunità: secondo l’indagine il 77% degli uomini ritiene di avere avuto lo stesse chance e trattamento delle colleghe dell’altro sesso, mentre per le donne il dato crolla al 53,8 per cento. La percezione di un diverso trattamento sul lavoro è minima per i professionisti con un 6,8% di risposte affermative, mentre per il 44,51% delle colleghe la carriera è stata segnata dalla discriminazione. Una penalizzazione che si evince, per altro, dai numeri sui vertici nei posti di lavoro: il 33% delle professioniste e il 44% dei colleghi uomini dichiarano che più del 90% dei dirigenti è di sesso maschile.
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