Giornata internazionale degli studenti: per l’Italia è sfida alla povertà educativa

La giornata internazionale degli studenti apre molte riflessioni sulle sfide da intraprendere con le nuove generazioni. Prima tra tutte: sconfiggere le barriere che impediscono di accedere all’istruzione.
L’impossibilità di apprendere, sperimentare, di sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni, infatti, crea una vera e propria povertà educativa (Fonte: Save the Children).

La povertà economica incide sulla povertà educativa

 

La prima causa della povertà educativa è la povertà economica: la deprivazione materiale, infatti, alimenta continuamente l’inaccessibilità scolastica e culturale, con conseguenze disastrose – oggi più che mai – non solo a livello individuale, ma anche a livello economico e sociale.

Un’indagine condotta in 10 paesi europei, con la collaborazione di Caritas Europa e Don Bosco International, mette in luce la situazione odierna delle famiglie in difficoltà nella delicata fase di transizione scuola-lavoro. Per almeno quattro studenti su cinque, la pandemia ha influito significativamente nella pianificazione del loro futuro: il 41,3% di essi ha vissuto in famiglia gravi problemi economici a causa del Covid; il 44,1% riceve aiuto per pagare le spese scolastiche; il 37,4% non si sente preparato per continuare gli studi; il 57,1% non si sente pronto ad entrare nel mondo del lavoro; il 78,6% non è stato aiutato da nessuno a scuola per orientare il proprio futuro.
(Fonte: Caritas, Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, 2022).

Chi sono i più “poveri” in Italia

 

Ed è proprio lo scorso anno che l’Istat ha lanciato l’allarme per la povertà ai massimi storici, con una correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione che si è rafforzata ancora.
Le famiglie in povertà assoluta risultano 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (il 10%, dal 9,4% del 2020):  una crescita che tra il 2019 e il 2021 è salita più della media toccando le famiglie con almeno 4 persone; le famiglie con persona di riferimento tra i 35 e 55 anni, le famiglie degli stranieri e quelle con un reddito da lavoro.
Nel contempo è cresciuto anche il peso della povertà educativa: la percentuale media di chi possiede al massimo la licenza media è passata dal 57,1% è al 69,7%, gruppo in cui si contano anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. I dati arrivano rispettivamente a toccare l’84,7% e il 75% per le regioni insulari e del sud, dove, ricordiamo, l’incidenza di italiani è maggiore. (Fonte: Caritas, Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, 2022).

Quando la povertà è una pesante eredità

 

Non solo. Secondo l’OCSE, l’Italia si caratterizza come uno dei Paesi a più bassa mobilità educativa in Europa. Per i nati in famiglie in fondo alla scala sociale (nell’ultimo quintile di reddito) diminuiscono le chance di riscatto: solo l’8%, tra chi ha i genitori con la licenza media, ottiene un diploma universitario (la media per l’Ocse è del 22%). Il 28,9%, invece, resta proprio nella stessa posizione sociale dei genitori, perpetuando la povertà educativa da una generazione all’altra: l’istruzione acquisita è uno dei principali elementi che favorisce la mobilità sociale, ma è pur vero che è un fattore condizionato dalla situazione “di partenza”.
La privazione in famiglia, come detto in precedenza, influisce sulla povertà educativa dei minori, che una volta cresciuti soffriranno a loro volta della marginalizzazione sociale ed economica rimanendo “intrappolati”.

Una sfida da compiere

 

Secondo la Caritas chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale ha scarse possibilità di accedere ai livelli superiori: per loro i gradini diventano così dei veri e propri “sticky grounds e sticky ceilings” (pavimenti e soffitti appiccicosi) dal quale è difficile distaccarsi. (Fonte: Caritas, Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, 2022). 
Non è stato sempre così. Per i nati fino agli anni ’60 si è assistito a un continuo aumento della mobilità ascendente. È nell’ultima generazione che si è registrato un’inversione di tendenza in senso sfavorevole (Fonte: Istat, 2020, Rapporto annuale. La situazione del Paese): i nati tra il 1972 e il 1986 sperimentano una mobilità verso il basso (26,6%), tale da superare i livelli registrati da tutte le generazioni precedenti, inclusa quella più anziana dei nonni.
Una situazione su cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza punta ad intervenire con 220 milioni di euro, per realizzare attraverso interventi socio-educativi. Nello specifico riguarderanno i bambini 0-6 anni, per ampliare e potenziare i loro servizi di cura e le fasce 5-10 e 11-17 anni per il miglioramento dell’offerta educativa, con l’obiettivo di contrastare la dispersione scolastica e prevenire le forme di disagio sociale, come ad esempio il fenomeno dei NEET (Not in education employment and training).

Ripartire dalla richiesta del mercato del lavoro: le STEM

 

I ragazzi che non studiano ne lavorano in Italia, del resto, sono molto più numerosi da noi che nell’Unione Europea: più di 13 su 100. (Fonte: Save the Children: Alla ricerca del tempo perduto, settembre 2022).
Eppure il mercato del lavoro chiama, e lo fa subito, specie per le professioni basate sulle materie STEM.
É importante che si aiuti a scoprire un mondo del lavoro ricco di opportunità e libero dagli stereotipi che ancora influenzano, soprattutto le ragazze, nelle loro scelte scolastiche e professionali”, ribadisce Barbara Falcomer Direttrice Generale Valore D.
Già nel 2025 i ruoli più richiesti – 9 professioni su 10 – saranno sempre più specialistici e legati alla tecnologia e al digitale (Fonte: BCG & Women’s Forum “Women in tech – The network Effect”, 2022). Dati che dovrebbero spronare chi vede al futuro con poche speranze – ragazzi e genitori – a rimettere al centro l’istruzione: rimane la prima spinta fondamentale da avere in famiglia per il progresso individuale.

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