Il prima e dopo della Legge Golfo-Mosca nelle società quotate

La legge Golfo-Mosca approvata a fine 2011, che impone alle società quotate di riservare al genere meno rappresentato almeno un terzo dei posti negli organi di governo, vale solo per tre mandati che durano singolarmente tre anni, ed è ora in scadenza. Una proroga attualmente in discussione in Parlamento. È bastato questo periodo per raggiungere l’obiettivo?

«Buone Notizie» ha condotto un’inchiesta che ha messo a confronto la situazione prima e dopo la legge delle 40 società maggiori di Piazza Affari (listino Ftse Mib).

 

L’impatto della Legge sulle società quotate

Dai risultati (per il dettaglio vedere il grafico sotto) emerge che la legge non solo è stata rispettata, ma la percentuale media di donne nei consigli di amministrazione è andata oltre quanto previsto: nel 2011 i board avevano il 5,7% di donne, a maggio 2019 la loro presenza era salita al 35,5%, quindi sopra il 33,3 % «minimo legale». Invece, l’effetto non si è replicato sulle posizioni apicali. Le top manager con riporto diretto al Ceo erano 46 prima della legge e sono 71 oggi, in crescita ma sempre in percentuale molto marginale rispetto agli uomini. Un po’ più alta la presenza tra i dirigenti: le donne sono passate dal 11,9 al 17,6%. Sono, inoltre, 19 le società che sono sopra le quote di genere nel board (Banca Generali, Banco Bpm, Bper, Buzzi Unicem, Diasorin, Ferrari, Finecobank, Generali, Intesa Sanpaolo, Moncler, Poste Italiane, Prysmian, Salvatore Ferragamo, Stmicroelectronics, Telecom Italia, Terna, Ubi Banca, Unicredit e Unipol) e 6 (Amplifon, Eni, Enel, Poste, Terna e Ubi Banca) quelle che hanno un presidente donna.

La presenza di donne nel board in media è salita da una media del 10,7 al 29,5%. È raddoppiato il numero di consigliere con deleghe operative e la percentuale di dirigenti donna è salito da 7,4 a 13,5% a fronte di un numero stabile di top manager che riportano al Ceo.

 

Fonte: Corriere Buone notizie
Fonte: Corriere Buone notizie 11 giugno 2019

 

Le altre ricadute positive

In generale, c’è stato un miglioramento rispetto al passato, ma meno forte rispetto all’accelerazione imposta dalla legge. Perché? «Innanzitutto perché è ancora difficile conciliare la vita privata con il lavoro», commenta Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia. Ma a parte il work-life balance, quello che non è stato scalfito – secondo Morelli – è il pregiudizio culturale: «Il sistema di riconoscimento del merito è ancora orientato a premiare gli uomini». Ma competenze e meritocrazia che hanno portato effetti concreti. «Le imprese in cui sono presenti donne nei consigli di amministrazione – ha sottolineato il commissario Consob – sembrano essere più sensibili ai temi della sostenibilità, presentano una migliore qualità della disclosure sui temi non finanziari e prestano maggiore attenzione ai temi sociali, con riflessi positivi sui livelli di performance».

 

 

 

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