Aumenta il part-time per le donne, ma per il 60% è involontario

Precarietà, minore accesso alle figure apicali, crescita del part-time involontario e della “sovraistruzione”, continuano a caratterizzare l’occupazione femminile: è quanto emerso nel corso dell’audizione di Linda Laura Sabbadini, direttore della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche dell’Istat, nel corso di un’audizione alla Commissione Lavoro della Camera.

 

Di recente anche Valore D è stata chiamata a dare il suo contributo alla Commissione Lavoro della Camera rispetto alle misure di legge in discussione a sostegno delle pari opportunità. Si tratta di un riconoscimento importante da parte delle Istituzioni che riconoscono a Valore D e alle sue associate, un’esperienza e uno sforzo costanti, per far progredire le istanze di genere nel mondo del lavoro.

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La qualità del lavoro delle donne in peggioramento

Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa (circa 18 punti su una media europea di 10). In Italia le donne che lavorano a tempo determinato sono nella media dei primi tre trimestri 2019 il 17,3% e quelle in part-time sono ormai un terzo, il 32,8% contro l’8,7% degli uomini. Particolarmente in affanno la situazione nel Mezzogiorno dove nel 2018 solo il 32,2% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora (contro il 59,7% nel Nord), un valore inferiore alla media nazionale delle donne nel 1977 (33,5%).
Tuttavia il part-time “non è cresciuto come strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma nella sua componente involontaria” che ha superato il 60% del totale dei contratti part-time attivi contro il 34,9 dello stesso periodo del 2007. Una quota ancora più elevata tra le donne più giovani (35,1% fino a 34 anni).

 

 

Per le donne resta più complesso trovare una collocazione sul mercato del lavoro adeguata al percorso di istruzione seguito: le laureate di primo livello, occupate a quattro anni dal conseguimento del titolo, svolgono una professione consona al loro livello di istruzione nel 67% dei casi. Nel caso dei laureati uomini di primo livello la stessa percentuale supera il 79%.
Se la sovraistruzione cresce anche per gli uomini, lo fa maggiormente per le laureate e le giovani fino ai 34 anni: nella media dei primi tre trimestri del 2019, rispettivamente il 35,2% e il 42% hanno faticato a trovare un lavoro all’altezza della propria formazione.
 

Però per la componente femminile si osserva una maggiore resilienza alle crisi, dalle quali è sempre uscita prima, e meno colpita, rispetto a quella maschile. Ciò sia per la diversa struttura occupazionale per settore (le donne sono più presenti nei servizi, meno colpiti dalla crisi), sia per le trasformazioni della componente femminile dal punto di vista della formazione. Una nuova identità femminile si fa strada, le donne vogliono realizzarsi su tutti i piani e il lavoro diventa un aspetto identitario fondamentale.

 

Prospettive di carriera inferiori agli uomini

Minore accesso alle figure apicali, maggiore diffusione di lavori part-time e carriere discontinue sono i fattori che assieme ad una diversa struttura per età determinano i differenziali di genere nei redditi da lavoro.

Guardando proprio al reddito, nel 2017 quello delle donne è in media del 25% inferiore a quelli degli uomini (15.373 euro rispetto a 20.453 euro). Un gap di genere rispetto al reddito che si quantifica tra i 233 e 275 euro al mese a tre anni da conseguimento del titolo. Non solo, a parità. di ruolo persiste anche il divario salariale. Se è molto basso nel settore pubblico (dati del 2017), nel settore privato il gender pay gap è di molto maggiore: 20,7%.

 

Valore D promuove la campagna per la parità salariale #nopaygap. Impegniamoci insieme per raggiungere questo obiettivo!

 

Ti interessa l’argomento? Leggi anche “All’origine della disparità salariale di genere

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