Quando si parla di gender gap si pensa soprattutto alle differenze di stipendio tra uomini e donne o allo squilibrio tra presenza femminile e presenza maschile nelle stanze dei bottoni. Eppure la discriminazione di genere pesa anche sulle pensioni, e non poco. A inquadrare la situazione è Stefano De Iacobis, coordinatore del Dipartimento politiche previdenziali della Federazione nazionale pensionati della Cisl intervistato da Donna Moderna.
«Le donne – constata – sono più numerose dei coetanei e percepiscono cifre inferiori rispetto agli uomini. A fronte di 16milioni di pensionati – come certifica l’Istat, sulla base di dati aggiornati al 2017 – la componente femminile è pari al 52,5% del totale. In un anno una donna mediamente porta a casa quasi 6mila euro in meno di un uomo». In Italia gli uomini hanno pensioni in media superiori del 35,8% rispetto alle donne, in linea con la media europea, 35,7%. (Fonte: Europarlamento, 2017).
Pensioni più basse di quelle degli uomini del 35,8%
«Per quanto riguarda la tipologia delle prestazioni pensionistiche – prosegue – i differenziali di genere sono ancora molto ampi, anche se diminuiscono lentamente. Solo il 37,6% delle donne nelle fasce d’età interessate percepisce una pensione di anzianità, con un importo medio mensile lordo di 1.275,21. Per gli uomini la percentuale sale al 70,7% e la cifra arriva a 1.971,97 al mese. Gli uomini – altre statistiche ufficiali Istat – incassano il 55,4 per cento delle pensioni di vecchiaia, quelle direttamente legate al pregresso contributivo. Il corrispettivo annuale è in media superiore di quasi 8mila euro a quella che tocca alle donne. Anche per le pensioni indennitarie – per infortuni sul lavoro, cause di servizio e malattie professionali – gli uomini rappresentano la maggioranza (73,5 per cento), in quanto occupati in settori ad alto rischio. Gli importi sono tuttavia inferiori a quelli incassati dalle donne che, in molti casi, sono percettrici indirette a causa della morte del coniuge.
Di contro, anche per una durata della vita più lunga, si registra una maggiore presenza femminile tra i beneficiari di pensioni ai superstiti, le reversibilità (86,5 per cento). In questo caso gli assegni sono più pesanti di quelli erogati agli uomini, visto che la cifra è legata alla situazione contributiva del coniuge defunto (9.341 euro annui lordi per le donne contro i 5.980 euro annui lordi per i coetanei)».
Le ragioni dello svantaggio femminile
«Le ragioni dello svantaggio femminile – va al punto il dirigente – sono molteplici. Ma tutte, direttamente o indirettamente, dipendono dai diversi percorsi lavorativi che caratterizzano le carriere di uomini e donne, determinanti per il loro futuro pensionistico: penalizzazione professionale e dunque retribuzioni più basse, limitate possibilità di carriera, part-time, interruzioni di lavoro retribuito per la maternità e la cura familiare, lavori atipici e irregolari, che peggiorano i tassi occupazionali, per il più elevato carico di lavoro familiare che tuttora grava sulle loro spalle: gli interventi volti ad agevolare la conciliazione tra tempi di vita familiare e lavorativa restano ancora molto carenti e influenzati da retaggi culturali. Basti pensare al basso numero di padri che fruiscono dei congedi parentali».
Valore D promuove la campagna per la parità salariale #nopaygap
Purtroppo le condizioni non muteranno sostanzialmente nel medio e lungo periodo, soprattutto per quanto riguarda il gender gap dei redditi pensionistici. Inoltre il lavoro di cura non retribuito, svolto in prevalenza dalle donne, è una voce fondamentale del welfare informale del nostro Paese. Ma non è considerato. È ora che queste attività vengano pienamente riconosciute a livello contribuito, previdenziale e pensionistico» – ricorda sempre De Iacobis.
Valore D promuove la campagna per la parità salariale #nopaygap: impegniamoci insieme per raggiungere questo obiettivo!