La Silver Economy -quella che indica l’insieme di servizi e prodotti destinati agli Over 65- secondo le ultime stime vale circa 122 miliardi di euro. E il dato è destinato a crescere, visto che in Italia la popolazione invecchia sempre di più a fronte di tassi di natalità in diminuzione. Di conseguenza anche in azienda ci sono sempre più collaboratori senior: la sfida per le imprese è la gestione di queste persone.
Nel 2018 “il numero medio di figli per donna è stato di 1,32, che vuol dire 128mila nascite in meno rispetto al 2008” spiega Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano. Una tendenza che si ripercuote inevitabilmente sul mondo del lavoro: “nei prossimi anni vedremo diminuire sempre di più le persone che entrano nell’età pienamente adulta, che costituiscono l’asse portante della vita attiva e produttiva del Paese, mentre cresceranno gli Over 55“, afferma Rosina, “ma al momento il nostro Paese non è attrezzato per valorizzare questi lavoratori“.
Age Management
Le aziende ancora faticano a prendere le misure con il concetto di Age management: “Solo una parte minoritaria sta mettendo in campo strumenti adeguati, invece è fondamentale valorizzare capacità e competenze delle varie fasi della vita e favorire un contesto positivo di collaborazione tra dipendenti giovani e maturi”. La possibilità di generare valore a tutte le età diventa fondamentale, sostiene Claudia Manzi, Docente di Psicologia Sociale all’Università Cattolica di Milano e responsabile scientifico della ricerca Talenti senza età senza età, realizzata da Valore D e dedicata ai lavoratori Over50: “Ad oggi la sfida più importante che si trovano ad affrontare le organizzazioni è quella di riuscire a non cadere negli stereotipi nella gestione di questo segmento di popolazione, riuscendo a entrare in contatto con i dipendenti e con le loro necessità”, spiega.
Coloro che hanno superato i 50 anni, infatti, si trovano spesso a dover combattere numerosi pregiudizi: “Si tende a considerarli più rigidi, senza voglia di imparare e meno impegnati nello svolgimento dei loro compiti. Sono tutti luoghi comuni che il nostro studio, condotto su 34 aziende e 13mila dipendenti, ha sfatato”. Già, perché laddove il lavoratore non percepisce discriminazione in base all’età è più probabile che resti una forza attiva e performante. “Spesso a quell’età si vivono cambiamenti, negativi e positivi, che impattano anche sul lavoro, come una separazione, una malattia o la nascita di un nipote”. Momenti di transizione che devono essere supportati adeguatamente dal contesto aziendale.
L’età anagrafica è un valore aggiunto
Eppure molto si potrebbe fare: “Dopo i 50 anni le persone hanno spesso davanti a sé ancora oltre 10 anni di lavoro, quindi è importante che si rendano conto di trovarsi davanti a un nuovo ciclo della loro vita e non al termine della loro esperienza. Risulta necessario far sì che restino protagonisti delle attività aziendali, facendo bilanci delle competenze e proponendo attività di formazione ad hoc“. La loro età anagrafica, infatti, può essere un valore aggiunto. Un impegno serio e continuativo in questo senso potrà regalare agli Over50 una seconda giovinezza lavorativa e offrire alle organizzazioni delle preziose risorse, depositarie di esperienza e informazione qualificata.