Il 20 febbraio l’Onu celebra la Giornata Mondiale della giustizia sociale, una data per promuovere l’impegno nell’eliminazione della povertà, nella promozione del lavoro dignitoso, nell’uguaglianza di genere e nell’accesso al benessere sociale e alla giustizia per tutti e tutte. Come si muove l’Italia? A che punto siamo con la rimozione delle barriere?
La spesa pubblica italiana, secondo i più recenti dati Ocse disponibili, destina alle prestazioni sociali quasi il 28% del Pil. In Europa spendono più di noi in rapporto al reddito nazionale lordo solamente da Danimarca (28%), la Finlandia (28,7%), il Belgio (28,9%) e la Francia (31,2%).
Le pensioni e la salute sono le principali aree di spesa sociale pubblica, un trend in linea con la maggior parte dei Paesi OCSE. Osservando i dati più in dettaglio si notano alcuni paradossi: l’Italia destina la quota più significativa di risorse alla spesa per le pensioni, in particolare il 16,2% del Pil, seconda soltanto alla Grecia (17% del Pil). Insomma, oltre il doppio della media Ocse e più di Francia e Germania.
All’opposto, è da tempo sotto la media Ocse per quanto riguarda la spesa per le famiglie – assegni e crediti per i figli, assistenza all’infanzia, sostegno al reddito durante il congedo, supporto a genitori soli – che, con la crescita intrapresa negli ultimi anni, è riuscita quasi a raggiungere il 2%, ancora lievemente sotto la media.
Le note dolenti però non tardano ad arrivare, per quanto riguarda la spesa dedicata a promuovere l’occupazione è all’1%. La spesa pubblica per la formazione nel contesto delle politiche attive del lavoro è molto bassa rispetto ad altri paesi Ocse.
Un quadro che raccoglie i paradossi che ancora contraddistinguono la nostra spesa pubblica: è più alta rispetto alla media europea, ma una parte significativa è anche inefficiente, ci sono quindi margini significativi per ridurre la spesa e al contempo migliorare la quantità e qualità delle tutele offerte ai cittadini.