Secondo l’ultimo Rapporto sull’imprenditoria femminile realizzato da Unioncamere in Italia un milione e 340mila aziende, il 22% del totale , sono guidate da donne. Negli ultimi cinque anni questo numero è cresciuto molto più velocemente di quelle guidate da uomini: +2,9 per cento contro +0,3 per cento. Tuttavia nella primavera di quest’anno si sono registrate oltre diecimila iscrizioni in meno da parte di neo-imprenditrici rispetto allo stesso trimestre del 2019. Come mai?
Resilienti, tenaci, pronte anche più degli uomini a mettersi in gioco. È la foto del milione e 340mila imprese guidate da donne, che emerge dal IV Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità.
L’ipotesi più accreditata, riportata dal Sole 24 Ore e condivisa sia da Carlo Sangalli, presidente di Unioncamere, che da Tiziana Pompei, vicesegretario generale di Unioncamere e direttore generale di Si.camera, è che a pesare sull’idea di avviare una impresa in questo periodo sia una questione di genere. Per dirla con le parole del presidente Sangalli, questo rallentamento è “testimonianza del fatto che il peso più rilevante in quelle fasi difficili è ricaduto e ricade sulle spalle delle donne. Anche per questo dobbiamo rafforzare gli strumenti utili per sostenere le donne a far nascere e crescere le loro imprese”. In questi mesi le donne che avrebbero voluto fare impresa hanno invece dovuto concentrare le energie nella cura della famiglia tra homeschooling e ‘smart’ working, piuttosto che nella creazione di business plan e conti economici.
Le ragioni culturali del rallentamento delle imprese femminili
Una battuta d’arresto per certi versi contingente, cioè legata al momento, e per altra strutturale, l’atavica convinzione che certi compiti spettino alle donne, in controtendenza comunque rispetto al trend dell’ultimo quinquennio, dove in valori assoluti l’aumento delle imprese femminili è stato più del triplo rispetto a quello delle imprese maschili: +38.080 contro +12.704. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità.
Nella fotografia di Unioncamere emergono contraddizioni importanti. Da un lato le imprese femminili giovanili sono meno propense all’innovazione (il 56% delle imprese giovanili femminili ha introdotto innovazioni nella propria attività contro il 59% imprese giovanili maschili) e all’uso delle tecnologie digitali (su Industria 4.0 ha investito il 19% contro il 25% delle imprese giovanili maschili); sono meno internazionalizzate (il 9% contro il 13%); hanno un rapporto difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia) e sono più le giovani imprese femminili, rispetto a quelle maschili, a non aver visto accolta la richiesta o di averla vista soddisfatta solo in parte dalle istituzioni bancarie (8% vs 4%).
Dall’altra parte, le imprenditrici sono più attente all’ambiente, guidate soprattutto dall’etica e dalla responsabilità sociale: la quota delle giovani imprese rosa che investono nel green mosse dalla consapevolezza dei rischi legati al cambiamento climatico è superiore a quella dei giovani imprenditori maschili (31% contro il 26%). Più raro è che trasformino una esigenza etica in una vera opportunità di business.