Di fronte al rapido invecchiamento della popolazione, l’Ocse invita i governi a promuovere «maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata». Un interessante articolo del Sole 24 Ore uscito oggi mostra come ritardando l’età media in cui i lavoratori più anziani lasciano la forza lavoro e riducendo il divario di genere nella partecipazione della forza lavoro in età più giovane, l’aumento medio per l’area Ocse potrebbe infatti essere ridotto al 9%.
Più pensionati che lavoratori entro il 2050
Potrebbe essere questo, secondo l’ultimo studio dell’Ocse sul mercato del lavoro, il destino dell’Italia. Sulla base degli attuali schemi pensionistici, scrive l’organizzazione nel rapporto Working Better with Age, il numero di persone over50 inattive o pensionate che dovranno essere sostenute dai lavoratori potrebbe aumentare di circa il 40%, arrivando nell’aera Ocse a 58 su 100.
In Italia, Grecia e Polonia, entro il 2050 il rischio è di un rapporto uno a uno o addirittura di più over50 fuori dal mondo del lavoro che lavoratori. Un rapido invecchiamento della popolazione richiederà un’azione politica concertata per promuovere l’invecchiamento attivo in modo da compensare le sue conseguenze potenzialmente gravi per gli standard di vita e le finanze pubbliche.
La relazione sottolinea che sono stati compiuti molti progressi per incoraggiare i lavoratori più anziani a continuare a lavorare fino all’età di 65 anni. Tuttavia, praticamente in tutti i Paesi Ocse, l’età effettiva in cui gli anziani escono dal mercato del lavoro è ancora più bassa oggi rispetto a 30 anni fa, nonostante un numero maggiore di anni rimanenti di vita. Ciò è dovuto a un insieme di fattori, come la difficoltà dei datori di lavoro ad assumere e trattenere lavoratori più anziani e investimenti insufficienti nell’occupabilità per tutta la vita lavorativa. Il rapporto giudica necessarie misure come una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e migliori condizioni di lavoro in generale per promuovere una maggiore partecipazione a tutte le età.
È importante investire nelle competenze dei lavoratori over50
Molti lavoratori mostrano infatti livelli più bassi di prontezza digitale rispetto ai loro figli e nipoti (l’Italia è agli ultimi posti) e partecipano molto meno alla formazione professionale rispetto ai lavoratori più giovani. Ma la ricerca “Talenti senza età: donne e uomini over50 e il lavoro” realizzata da Valore D, in collaborazione con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano indaga proprio questo tema. La maggior parte delle realtà lavorative ancora oggi investe sulle sue risorse fino ai 50 anni e poi comincia a mollarle. Il 30,9% degli intervistati si considera “talento attivo”, proiettato verso il futuro e con obiettivi interessanti da raggiungere.«Le politiche del lavoro innovative dedicate agli over 50 sono ancora poche ma la aziende sono in cerca di idee» spiega Paola Castello di Valore D, coordinatrice della ricerca.
Per consultare interamente la ricerca “Talenti senza età: donne e uomini over50 e il lavoro”