Oggi ci sarà il fischio d’inizio dei Mondiali di calcio femminile: fino al 7 luglio si sfidano 24 squadre da 6 continenti, tra cui l’Italia che mancava dalla competizione da 20 anni. Ma i Mondiali sono già cominciati su un campo che si chiama lotta agli stereotipi e gender pay gap. Perché il sogno di tutte le sportive è quello della parità salariale con le controparti maschili. Ora è il momento del calcio.
O meglio, non di tutto il calcio visto che, per la Fifa, il Mondiale femminile di Francia vale il 13% di quello maschile (il montepremi è di 30 milioni di dollari, quello di Russia 2018 è stato di 400), ma di una Federazione. L’Olanda ieri ha annunciato che entro il 2023 gli stipendi per gli atleti e le atlete delle Nazionali saranno parificati. Nei Paesi Bassi già da tempo ricercano uguali trattamenti anche a livello di alloggio e di strutture di allenamento. Di conseguenza, dicono, anche le differenze retributive devono «diminuire sempre più, e infine scomparire, per realizzare la parità». L’Olanda si mette così in scia alla Norvegia, dove un accordo in tal senso vive da due anni.
Il gesto di protesta del Pallone d’Oro Ada Hegerberg e lo sviluppo del calcio femminile
Sono tante le proposte che tra il 2018 e il 2019 si sono diffuse per sensibilizzare su questo divario. Ma anche le virtuosa Basti pensare che Ada Hegerberg, stella della Nazionale norvegese e Pallone d’oro in carica, ha deciso di non giocare nel team del suo Paese proprio a causa di quello che ritiene un generale disprezzo nei confronti della squadra femminile. Un tema, questo, sempre più caldo che probabilmente verrà discusso nella prima Women’s Football Convention organizzata proprio dalla Fifa a Parigi il 6 e il 7 giugno per discutere dello sviluppo del calcio femminile.
Un tema di cui discutere anche perché proprio il Paese ospitante, la Francia, sfratta le Bleues pronte ad affrontare il Mondiale dal centro federale di Clairefontaine per lasciare spazio ai maschi per un’amichevole. O gli Usa, attualo detentori del titolo, dove il gender gap, denunciano da anni le campionesse del mondo uscenti, è del 40%.
La Nazionale femminile australiana chiede equi compensi #OurGoalisNow
Di questo le calciatici sono consapevoli e non arrendono nemmeno davanti a questa sfida: le australiane hanno lanciato una campagna emozionante, #OurGoalisNow, appoggiata anche dagli uomini, per chiedere l’aumento, da parte della Fifa, del montepremi dell’evento. Numeri alla mano. La posta in palio per il Mondiale femminile, come dicevamo, seppure doppia rispetto all’edizione canadese del 2015, continua ad avere tutt’altre cifre rispetto all’edizione maschile prevista in Qatar nel 2022: 440 milioni di dollari.
E in Italia?
L’Italia ai mondiali è già una vittoria per le azzurre di oggi e di domani. n Italia ci sono 23.903 calciatrici tesserate, 2664 tra i 10 e i 12 anni. Numeri ancora molto bassi se paragonati agli Stati Uniti o alla Germania. In Italia siamo poco più degli albori: il calcio femminile non ha una organizzazione autonoma e le calciatrici non sono tesserate come professioniste, ma come dilettanti. Ma le cose stanno cambiando da quando le grandi squadre maschili sono state obbligate a investire anche nel settore del calcio femminile. Lo ha fatto la Juve che ha vinto due campionati di seguito, il Milan, la Roma. Una calciatrice guadagna mediamente 30 mila euro lordi l’anno, niente di paragonabile con quello che accade in ambito maschile. Servono investimenti. Investimenti soprattutto dal punto di vista culturale, dell’educazione. Perché il calcio femminile più di ogni altro sport subisce pesanti pregiudizi, ma proprio per questo motivo può essere lo strumento per sconfiggerli.
Proprio come incoraggia la pubblicità della Nike dedicata al campionato mondiale francese: «Non rinunciare ai tuoi sogni, cambia il mondo».