Se l’obiettivo è la crescita, l’Italia sta andando da tempo nella direzione sbagliata e l’ultima manovra varata, purtroppo, risulta tutt’altro che un cambio di direzione. Per capirlo basta far riferimento a un indicatore demografico con forti implicazioni economiche e sociali, guardato con molta attenzione nelle società moderne avanzate: il rapporto tra chi ha 65 anni e oltre sulla popolazione in età attiva (tasso di dipendenza degli anziani). La previsione della struttura per età della popolazione mostra, per l’Italia, un futuro tra i meno rassicuranti in Europa. La demografia non è di per sé una condanna se si prendono le giuste contromisure, migliorando le condizioni e le prospettive del Paese.
Sono cinque le leve su cui dovremmo agire nel presente per risollevare il nostro futuro. Una è l’immigrazione, ma il governo non sembra volerla prendere in considerazione. La seconda è la natalità, che in Italia ha toccato livelli particolarmente bassi ed è in continua caduta. Non ci sono fattori che suggeriscono una possibile inversione di tendenza. Crescita della popolazione anziana e diminuzione della popolazione attiva continueranno quindi a caratterizzare in modo più accentuato il nostro Paese anzi rispetto alle altre economie avanzate.
E lo squilibrio peggiora se si prendono in considerazione gli inattivi e li si mette in rapporto alla popolazione attiva, cioè a chi lavora e produce ricchezza che può essere redistribuita. Tale indicatore, noto come Economic old-age dependency ratio, è oggi attorno al 60% in Italia con la prospettiva che possa progressivamente salire vicino al 100% entro la metà di questo secolo.
Sugli inattivi la manovra non sembra poter produrre un forte contenimento, anzi con quota 100 tenderanno ad aumentare. Mentre è certo l’aumento di spesa pubblica per finanziare tale misura e il reddito di cittadinanza, molta più incertezza c’è sulla capacità di aumentare la platea di attivi da cui dipendono sostenibilità e benessere futuro. E su questo aspetto pesano le altre tre leve. Una è l’occupazione femminile che assieme alla natalità è vincolata verso il basso dalla cronica carenza di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Come l’occupazione delle donne, anche quella dei giovani è tra le più basse in Europa.
Purtroppo continua a mancare un piano solido e credibile per trasformare le nuove generazioni in una vera leva per la crescita competitiva del Paese. Anche su questo nella manovra non si vede una vera discontinuità con i governi precedenti. La quinta leva è il contributo alla crescita attraverso le nuove opportunità, grazie alla longevità e alla tecnologia, di una lunga vita attiva. Sembra che la politica italiana sia solo in grado di pensare a forzare i sessantenni a continuare lavorare o lasciare che le aziende se ne liberino il prima possibile. Molto meno degli altri Paesi avanzati investiamo sulle condizioni che favoriscono una lunga vita attiva, soddisfacente per il lavoratore maturo e produttiva per le aziende.
Per consultare i dati Istat sulle previsioni demografiche