Precarie, part-time, con contratti a termine in percentuale decisamente maggiore degli uomini, le lavoratrici rischiano di pagare di più. Mind the gap – attenzione al divario – la sezione del Messaggero dedicata alle differenze di genere – ha pubblicato un’intervista di Maria Lombardi all’economista Paola Profeta e a Paola Mascaro, Presidente di Valore D sul futuro del lavoro femminile dopo la crisi.
Le donne partono da una posizione più fragile nel mercato del lavoro
Il rischio per il lavoro femminile nell’immediato è di tornare indietro negli anni e perdere tanto spazio conquistato. Ma nel lungo periodo la rivoluzione smart working potrebbe scardinare vecchi modelli di lavoro “al maschile” e introdurre nuovi stili più flessibili che facilitano la conciliazione tra famiglia e carriera.
«Nelle crisi le fasce deboli soffrono di più e le donne sono particolarmente fragili nel mercato del lavoro» esordisce Paola Profeta, professoressa associata di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi ed esperta di “economia di genere”, sottolinea lo svantaggio da cui si parte: in Italia meno di una donna su due lavora (il 48,9 %), un terzo ha impieghi part-time (contro l’8,7 per cento degli uomini), il 13,7 per cento ha contratti a tempo determinato. E chi lavora guadagna in media il 10% in meno.
Ma proprio da momenti così può nascere il cambiamento. «Una contrazione dell’occupazione femminile non ce la possiamo permettere e dunque si dovrà intervenire per proteggerla». Quello a cui sta già pensando la Ministra della famiglia e delle pari opportunità Elena Bonetti che, ha annunciato, proporrà di rendere più conveniente l’assunzione delle donne con una tassazione favorevole.
Cosa ci sta insegnando questa crisi?
«Se è vero che lo smart working, in questa emergenza, si è trasformato in estreme working per le donne, con i carichi di cura sulle loro spalle, a lungo andare potrà rappresentare un’innovazione sociale e culturale. E soprattutto contribuire al passaggio da uno stile di comando e controllo, in cui la presenza fisica contribuisce a determinare la valutazione delle performance, ad uno stile di delega e fiducia, che è tipico del lavoro a distanza» risponde Paola Mascaro, Presidente di Valore D.
«Un modello diverso che valorizza i risultati rispetto alla presenza fisica può aiutare le donne a conciliare meglio la vita lavorativa e quella familiare» spiega la Presidente, «ma non solo per loro: può consentire anche agli uomini di trovare altri equilibri ed essere più presenti e collaborativi in famiglia».
E se le donne rientrassero prima? «Sarebbe di certo un’opportunità di dare evidenza al proprio lavoro e di trovare spazi per esprimersi anche a livelli più alti. Sperando che non accada, come nel dopoguerra: allora i ruoli conquistati dalle donne furono poi perduti. Senza dubbio adesso sarà necessario pensare a forme di incentivazione che sostengano e favoriscano il rientro delle donne al lavoro. Una cosa è certa: da questa crisi se ne esce insieme, non è pensabile che una metà sia tagliata fuori. Sarebbe un danno per le donne e per il Paese» conclude Mascaro.