Si chiama Combatting Ageism ed è una delle più potenti campagne internazionali sull’ageismo, lanciata quattro anni fa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sedute su uno sgabello, persone di ogni età si rivolgono all’obiettivo e pronunciano frasi che suonano incredibilmente familiari:
«Quando mi guardano, spesso vedono solo la mia età.»
«Nessuno mi prende sul serio.»
«Mi sento un peso.»
Testimonianze che risuonano nella vita di milioni di persone, dove l’ageismo rimane una delle discriminazioni più normalizzate proprio perché mascherata da abitudini, battute e automatismi linguistici. Ed è qui che inizia a cambiare lo sguardo: quando smettiamo di usare l’età come etichetta e ricominciamo a considerarla per ciò che è davvero, una dimensione plurale dell’esperienza umana.
Le campagne che stanno cambiando la narrazione sull’età
Eppure in molte parti del mondo qualcosa si sta muovendo. Negli ultimi anni sono nate campagne culturali e istituzionali che provano a ribaltare il modo in cui parliamo dell’età e riconfigurarla come una dimensione plurale dell’esperienza umana.
Vediamo allora alcune delle più innovative, per capire come la comunicazione possa aprire nuovi immaginari e sostenere una longevità attiva che non sia solo uno slogan, ma un obiettivo di futuro condiviso.
Age Without Limits (UK)
Lanciata dal Centre for Ageing Better, Age Without Limits è oggi una delle campagne più articolate sul tema dell’ageismo. Il suo punto di forza è la capacità di rendere visibili i meccanismi culturali che alimentano la discriminazione generazionale, usando video, quiz, materiali social e messaggi brevi che scardinano i pregiudizi più radicati.
Il cuore della campagna è una constatazione semplice: invecchiare ha le sue sfide, ma ricevere un trattamento negativo per via dell’età non dovrebbe essere una di quelle.

La campagna presenta diversi soggetti che mettono in discussione i pregiudizi sull’età e le norme sociali che vorrebbero stabilire quali comportamenti sono “giusti” o “idonei” per una persona di età alta. È una provocazione che funziona, perché ci mette di fronte ai nostri automatismi linguistici.
Tra le risorse sul loro sito, molto utile è anche la galleria immagini che contiene foto stock di persone di età alta in situazioni molto diverse e non stereotipate.
Con questo approccio creativo, Age Without Limits mostra che il linguaggio, sia testuale che visivo, può diventare un alleato per leggere l’invecchiamento come un percorso aperto, non come un restringimento.
Ageism Hurts (Unione Europea)
Promossa da AGE Platform Europe, Ageism Hurts è una campagna video multilingue che vuole mostrare quanto sia diffusa – e dannosa – la discriminazione legata all’età.
Old… What Does That Mean? – The Social Campaign #AgeismHurts
Oltra alla campagna video, AGE presenta anche una serie di illustrazioni statiche dove parole come “burden” (peso, fardello) vengono barrate e sostituite da espressioni che restituiscono dignità, partecipazione e valore sociale, come “an asset to society” (una risorsa per la società).

La scelta grafica ha un interessante impatto visivo, perché rende immediatamente leggibile il meccanismo dell’ageismo, la persona definita da un’etichetta, e allo stesso tempo mostra come sia possibile riscrivere la storia sull’invecchiamento, come recita lo slogan.
L’hashtag #AWorldForAllAges funziona come filo conduttore della campagna per puntare il riflettore sulla necessità di un mondo costruito con tutte le età, in cui ciascuna fase della vita trovi spazio, voce e rappresentazione. È una direzione narrativa che molte organizzazioni stanno scegliendo: non negare le difficoltà legate all’età, ma rimettere al centro le persone e le loro unicità.
Combatting Ageism (OMS)
Lanciata nel 2021, Combatting Ageism è la campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pensata per essere un’infrastruttura culturale con cui cambiare il modo in cui, in tutto il mondo, parliamo di e rappresentiamo l’età.
Toolkit, linee guida, materiali visual e strumenti educativi compongono un ecosistema comunicativo accessibile a governi, scuole, media e aziende, con un obiettivo dichiarato: riconoscere l’ageismo, nominarlo e ridurne l’impatto.
Uno degli elementi più efficaci è la serie di testimonianze video con cui abbiamo aperto anche questo articolo: frasi brevi e precise, che rivelano con durezza come l’età possa diventare una lente distorta, capace di restringere opportunità e possibilità.
Global Campaign to Combat Ageism – #AWorld4AllAges
Questa scelta narrativa è potente perché mostra il meccanismo dell’ageismo nel suo funzionamento quotidiano, pur senza indugiare in allarmismi o paternalismi. Anche l’OMS decide di mettere in luce le strutture linguistiche e sociali che contribuiscono alla stigmatizzazione dell’età – sia alta che bassa.
A distinguerla è anche il suo approccio multilivello: non si limita a sensibilizzare, ma fornisce strumenti operativi per migliorare la comunicazione istituzionale e professionale, individuare messaggi ageisti e sostituirli con linguaggi più accurati e rispettosi.
Ageism Awareness Day (Canada)
La campagna per l’Ageism Awareness Day 2024, promosso dal Canadian Coalition Against Ageism, ha spinto la sensibilizzazione sull’ageismo oltre la classica giornata “di calendario”. La campagna ha raccolto strumenti, materiali grafici, messaggi social e attività comunitarie pensate per un pubblico eterogeneo e bilingue (inglese e francese). È arrivata in scuole, amministrazioni locali, aziende e media.
Ciò che colpisce di questa edizione è la capacità di mostrare come l’ageismo non sia un tema di nicchia, ma un’esperienza quotidiana che attraversa più generazioni. Le illustrazioni, le infografiche e i materiali scaricabili sono stati progettati per una comunicazione immediata, senza tecnicismi, portando in primo piano le situazioni in cui l’età diventa un filtro che limita diritti e possibilità. Uno dei suoi meriti è anche l’approccio intersezionale, perché ricorda che la discriminazione ageista si interseca con altri tipi di discriminazione:

Il valore aggiunto della campagna è la sua dimensione pratica: non si limita a “dire cosa non va”, ma offre indicazioni semplici e replicabili su come riconoscere e interrompere comportamenti ageisti nei contesti di lavoro, di cura, educativi e comunitari. È una sensibilizzazione che invita a guardare dentro le routine, non solo ai grandi discorsi.
Ageism Stops With You (New York)
La campagna Ageism Stops With You, promossa dal New York City Department for the Aging, ha un obiettivo molto diretto: rendere visibile l’ageismo nelle micro-interazioni quotidiane e invitare ogni persona – non solo le istituzioni – a interromperlo.
È una campagna urbana, pragmatica, pensata per una città in cui convivono decine di comunità linguistiche e generazioni differenti.

L’impianto visivo è immediato: spot televisivi, annunci su autobus e metropolitana, materiali multilingue distribuiti in scuole, centri comunitari, ospedali e biblioteche, nonché un kit anti-ageismo per le aziende (Employer Toolkit). Ogni soggetto gira intorno a espressioni comuni usate per discriminare in base all’età: “immaturi”, “fuori dal mondo”, “inaffidabili”, “non sei più nel fiore degli anni” o “sei troppo giovane”.
Ageism Stops With You (English Commercial)
La forza della campagna sta nella sua semplicità operativa. Non punta il dito contro le persone, ma contro le abitudini comunicative: mostra come l’ageismo sia sostenuto spesso da modi di dire che ripetiamo senza pensarci, e come sia possibile cambiare rotta nel momento stesso in cui li riconosciamo.
L’invito è proprio quello di nominare le discriminazioni e identificare le etichette che fanno male, a ogni età. Ed è proprio questa dimensione di responsabilità diffusa che rende Ageism Stops With You un modello potente per chi lavora con la comunicazione, la formazione e la gestione di comunità e team multigenerazionali.
Cosa possono fare le organizzazioni: spunti concreti per combattere l’ageismo
1. Conoscere i bisogni prima di progettare le risposte
Ogni strategia efficace contro l’ageismo in azienda parte da un presupposto semplice: ascoltare. Le iniziative di Valore D come Talenti senza età (2019) o Diamo forma al futuro del lavoro (2024), dimostrano quanto sia importante raccogliere dati, vissuti e aspettative delle diverse generazioni per evitare interventi basati su supposizioni. L’ascolto permette anche di scardinare alcuni stereotipi e scoprire, per esempio, che bisogni come il work-life balance non sono generazionali, ma trasversali. Conoscere davvero chi lavora in azienda aiuta a progettare politiche più eque, mirate e capaci di parlare a tutte le età.
2. Rivedere il linguaggio interno ed esterno
Nei documenti interni, nelle job description, nelle riunioni, persino nei complimenti di routine, l’età appare spesso come informazione implicita o come giudizio. Chiediamoci se certe formule, come “figura giovane e dinamica”, “giovane talento” o “persona matura e affidabile”, servono davvero o se stanno solo riproducendo aspettative rigide e cliché.
3. Ripensare i processi di selezione, sviluppo e formazione
I processi di selezione e l’accesso a programmi di sviluppo e formazione sono alcuni dei momenti in cui l’ageismo opera in modo più silenzioso. La data di nascita nel CV, un riferimento a “troppa esperienza” o un percorso pensato solo per persone under 30: a volte basta un dettaglio per restringere il campo prima ancora di incontrare una persona o di riconoscerne il potenziale. Un cammino percorribile per evitare questi bias può essere quello di ampliare i target dei processi e delle iniziative, creare team di selezione e sviluppo multigenerazionali e osservare con attenzione ciò che accade anche nelle fasi informali.
4. Valorizzare la longevità attiva come competenza strategica
La longevità attiva è un fattore che sostiene innovazione, trasferimento di conoscenze e continuità dei progetti. Scegliere di valorizzarla significa costruire percorsi di crescita per tutte le età, riconoscere che le carriere oggi sono discontinue e non lineari, e permettere alle persone di contribuire con ciò che sanno, non con ciò che si suppone dovrebbero essere in base all’età anagrafica.
5. Costruire ponti tra generazioni, non solo affiancarle
Creare team multigenerazionali è un punto importante, ma la presenza di persone di età diverse non garantisce automaticamente lo scambio. È più efficace costruire ponti tra le generazioni e creare occasioni intenzionali di conoscenza reciproca: momenti di sensibilizzazione sulle diverse generazioni, spazi di confronto che riducano le letture parziali e i fraintendimenti, iniziative strutturate come la mentorship. Programmi come WeGen, il primo percorso di Circular Mentorship intergenerazionale e cross-aziendale in Italia, mostrano come il dialogo tra generazioni possa attivare nuove sinergie e sostenere una trasformazione culturale che parte dalle relazioni. In questo modo le persone possono lavorare insieme, mettendo da parte gerarchie implicite o comportamenti che infantilizzano e invisibilizzano. Come dimostra anche Oltre le generazioni – lo studio realizzato nel 2024 dal Centro Studi di Valore D in collaborazione con il centro di ricerca Behave Lab dell’Università degli Studi di Milano – non basta avere persone di età diverse: serve farle lavorare insieme in modo equo, con strumenti e formazione adeguata, applicando i principi della leadership inclusiva.
Le campagne contro l’ageismo che abbiamo analizzato mostrano un orizzonte in cui l’età non è un limite, ma una parte della storia di ogni persona. Si tratta di un cambiamento culturale di certo non immediato eppure, per fortuna, già in corso. E inizia da questi dettagli: dalle parole che scegliamo, dagli sguardi che coltiviamo, dal modo in cui rappresentiamo l’età – nostra e altrui – ogni giorno.
